13 attivisti ambientali assassinati in Colombia solo a gennaio 2022, nel silenzio generale

In un solo mese si contano già 13 morti nel Paese: anche l'ONU punta il dito contro l'inefficienza delle misure del governo

Nessun telegiornale ne parla, ma in un solo mese si contano già 13 morti in uno dei Paesi più pericolosi del mondo per chi difende i diritti umani e l’ambiente: la Colombia. Noi non abbiamo intenzione di dimenticarli. Questi sono i loro nomi.

Non si ferma il massacro degli attivisti per i diritti umani in Colombia. Dopo il triste record di 145 vittime registrate solo nello scorso anno, già nel primo mese del 2022 si contano 13 attivisti uccisi.

  • Nilson Antonio Velásquez Gil – leader della comunità (Medio San Juan, Chocó);
  • Guillermo Chicana – leader indigeno (Buenos Aires, Cauca);
  • Breiner David Cucuñame López – Giovane ambientalista (Buenos Aires, Cauca);
  • Miguel Carillo – leader culturale (Arauquita, Arauca);
  • Luz Marina Arteaga Henao – pretendente alla terra (Orocué, Casanare);
  • Mario Jonathan Palomino Salcedo – ambientalista (Carmen de Viboral, Antioquia);
  • Wilson Cortes Molano – leader della comunità (Puerto Guzmán, Putumayo);
  • José Avelino Pérez Ortiz – capo civico (Arauca, Arauca);
  • Libardo Castillo Ortiz – Leader discendente afro (Barbacoas, Nariño);
  • José Albeiro Camayo Güetio – leader indigeno (Buenos Aires, Cauca);
  • Pedronel Sánchez Gallego – leader della comunità (Puerto Guzmán, Putumayo);
  • Álvaro Peña Barragán – leader della comunità (Tame, Arauca);
  • Deisy Sotelo – leader sociale (Anacona, Cauca)

A partire dal 2016, anno della firma degli accordi di pace con il gruppo di guerriglia armata Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) per una tregua nelle uccisioni selvagge di leader locali e attivisti, sono state già uccise 1.299 persone – un record che stona con l’impegno siglato dal governo del Paese e dal maggiore gruppo paramilitare colombiano.

Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite sembra non essere immune agli attacchi violenti: lo scorso 27 gennaio, a San José de Guaviare a Puerto Nuevo, la missione ONU in viaggio verso l’area rurale di Guayabero per incontrare le comunità locali è stata vittima di un attacco armato: l’imboscata ha colto di sorpresa i funzionari, che sono stati minacciati con da uomini armati; due veicoli della delegazione sono stati dati alle fiamme.

Insomma, la situazione nel Paese (uno dei più violenti e pericolosi al mondo) è drammatica. ONG ed enti governativi incalzano con appelli e richiami affinché il governo intervenga in modo tempestivo ed efficace a tutela della protezione delle popolazioni locali: non esistono ancora misure di sicurezza per salvaguardare gli attivisti e i leader locali di fronte alla recrudescenza delle violenze e all’incursione dei gruppi armati (non solo colombiani, ma provenienti anche dalle zone di confine esterne al Paese, come ad esempio dal Venezuela).

Ma quali sono i motivi che si nascondono dietro queste azioni violente? Il territorio colombiano è conteso dai trafficanti di droga, che rivendicano la propria autorità su “corridoi” strategici per il passaggio della merce verso i consumatori esteri, che attraversano villaggi e comunità locali non coinvolte nello spaccio: questo porta allo sviluppo di faide e conflitti che troppo spesso finiscono nel sangue. Malgrado l’impegno costante per stabilire un clima di pace nel Paese, quindi, molte sono ancora le sfide da superare – come esplicitato anche dal comunicato stampa del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Colombia:

I membri del Consiglio di sicurezza hanno ribadito la loro preoccupazione per le persistenti minacce, attacchi e uccisioni nei confronti di ex membri delle FARC che hanno deposto le armi in quanto partecipanti al processo di pace, nonché leader della comunità e sociali (comprese le donne) e quelli degli indigeni e comunità afro-colombiane […] e hanno chiesto ancora una volta l’adozione da parte della Commissione nazionale per le garanzie di sicurezza di una politica pubblica per smantellare i gruppi armati illegali e ha sottolineato la necessità di aumentare la presenza integrata dello Stato nelle aree colpite dal conflitto.

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Fonti: Nazioni Unite / El Pais Vallenato

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