Chi era Mileva Marić, la scienziata vissuta all’ombra di suo marito Albert Einstein

Anche lei era una fisica e ci sono prove che abbia contribuito in modo significativo alla sua scienza innovativa. Ecco la vita dimenticata della prima moglie di Einstein

Mileva Marić Einstein, chi si ricorda di questa brillante scienziata? Mentre suo marito Albert Einstein è celebrato come forse il miglior fisico del 20° secolo, rimane una domanda sulla sua carriera: quanto ha contribuito la sua prima moglie alla sua scienza innovativa?

Proprio così: Mileva Marić fu la prima moglie di Einstein e molte delle loro lettere – custodite ad oggi in una banca di Berkeley, in California – e le numerose testimonianze presentate nei libri a lei dedicati, forniscono una prova sostanziale di come collaborarono sin dal loro primo incontro nel 1896 e fino alla loro separazione avvenuta nel 1914.

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Nell’agosto 1899, Albert scriveva a Mileva:

Quando ho letto Helmholtz per la prima volta, mi sembrava così strano che tu non fossi al mio fianco e oggi le cose non stanno migliorando. Trovo che il lavoro che facciamo insieme sia molto buono, curativo e anche più facile (ndr: Hermann von Helmholtz fu fisiologo, matematico e fisico, che compì fondamentali ricerche nell’ambito dell’ottica e dell’acustica fisiologica, della fisica e della matematica).

Chi era Mileva Marić e il suo rapporto con Einstein

Mileva Marić nacque a Titel, in Serbia, nel 1875. I suoi genitori, Marija Ruzić e Miloš Marić, erano ricchi e rispettati in comunità. Mileva frequentò la scuola superiore l’ultimo anno in cui le ragazze furono ammesse in Serbia. Nel 1892 il padre ottenne l’autorizzazione del Ministro della Pubblica Istruzione per consentirle di frequentare le lezioni di fisica riservate ai ragazzi. Completò il liceo a Zurigo nel 1894 e la sua famiglia si trasferì poi a Novi Sad.

Albert Einstein nacque a Ulm in Germania nel 1879. Suo padre, Hermann, era un industriale. Sua madre, Pauline Koch, proveniva da una famiglia ricca. Albert era curioso, bohémien e ribelle e, essendo indisciplinato, odiava il rigore delle scuole tedesche. Così anche lui finì il liceo in Svizzera e la sua famiglia si trasferì a Milano.

Albert e Mileva furono ammessi alla sezione fisico-matematica del Politecnico di Zurigo (oggi ETH) nel 1896 e divennero inseparabili, trascorrendo innumerevoli ore a studiare insieme. Mileva era metodica e organizzata e aiutò Albert a canalizzare le sue energie guidando i suoi studi, come apprendiamo dalle lettere di Albert, scambiate tra il 1899 e il 1903 durante le vacanze scolastiche: 43 lettere di Albert a Mileva sono state conservate.

Diventano presto coppia fissa, ma devono affrontare l’avversione della famiglia di lui al loro matrimonio. Mileva non piace: non è ebrea ed è un po’ troppo indipendente per essere una brava moglie. Indipendente a tal punto che nel 1901 Marić si presenta all’esame finale per ottenere la laurea incinta: una condizione inaccettabile anche per un ambiente progressista come quello del Politecnico tanto che fu bocciata.

A dicembre 1901, il padre di un loro compagno di classe procura ad Albert un posto presso l’Ufficio brevetti di Berna, mentre nell’ottobre del 1902, prima di morire, il padre gli concede il permesso di sposarsi. Albert e Mileva si sposano quindi il 6 gennaio 1903. Albert lavora 8 ore al giorno, 6 giorni alla settimana presso l’Ufficio Brevetti, mentre Mileva cura la casa. La sera lavorano insieme, a volte fino a tarda notte. Arriva poi il 1905, conosciuto come “l’anno del miracolo” di Albert: lo scienziato pubblica, infatti, cinque articoli: uno sull’effetto fotoelettrico (che valse il Premio Nobel nel 1921), due sul moto browniano, uno sulla relatività speciale e il famoso E = mc 2. Inoltre commenta a pagamento 21 articoli scientifici e presenta la sua tesi sulle dimensioni delle molecole.

Secondo Peter Michelmore, uno dei suoi biografi, dopo aver impiegato cinque settimane per completare l’articolo contenente le basi della relatività ristretta, “Mileva ha controllato più volte l’articolo e poi lo ha spedito”.

La svolta, il tradimento, il divorzio

Nel 1909n fu offerto ad Albert il suo primo posto accademico a Zurigo e Mileva lo assisteva ancora. Otto pagine degli appunti delle prime lezioni di Albert sono scritte a mano da lei. Così è una lettera redatta nel 1910 in risposta a Max Planck che aveva chiesto il parere di Albert. Entrambi i documenti sono conservati negli Archivi Albert Einstein (AEA) a Gerusalemme.

Il 3 settembre 1909 Mileva confidò a Helene Savić:

Ora è considerato il migliore dei fisici di lingua tedesca e gli danno molti onori. Sono molto felice per il suo successo, perché lo merita pienamente; Spero solo e mi auguro che la fama non abbia un effetto dannoso sulla sua umanità. Più tardi aggiunse: Con tutta questa fama, ha poco tempo per sua moglie. […] Che dire, con la notorietà, uno prende la perla, l’altro la conchiglia.

Il loro secondo figlio, Eduard, nasce il 28 luglio 1910. Fino al 1911 Albert invia ancora cartoline affettuose a Mileva. Ma nel 1912 intraprende una relazione con sua cugina Elsa Löwenthal, mantenendo una corrispondenza segreta per oltre due anni (molte di quelle lettere sono ora nella raccolta di carte di Albert Einstein). Durante questo periodo, Albert ricopre diversi incarichi all’università prima a Praga, poi di nuovo a Zurigo e infine a Berlino nel 1914 per essere più vicino a Elsa.

Ovviamente il matrimonio fallisce e Mileva torna a Zurigo con i suoi due figli nel luglio del 1914. Nel 1919 accetta il divorzio, con una clausola secondo la quale se Albert avesse mai ricevuto il Premio Nobel, lei avrebbe ricevuto i soldi. E così accadde ma, a causa di costose spese mediche (suo figlio Eduard  sviluppò la schizofrenia e fu interiorizzato), Mileva vive praticamente in miseria. Sopravvive dando lezioni private e con gli alimenti inviati da Albert, anche se in modo irregolare.

Nel 1925, Albert scrive nel suo testamento che il denaro del Premio Nobel era l’eredità dei suoi figli. Mileva si oppone fermamente, affermando che i soldi suoi suoi, e prende in considerazione l’idea di rivelare il suo contributo al suo lavoro.

Radmila Milentijević cita una lettera che Albert le inviò il 24 ottobre 1925:

Mi hai fatto ridere quando hai iniziato a minacciarmi con i tuoi ricordi. Hai mai considerato, anche solo per un secondo, che nessuno presterebbe mai attenzione a ciò che dici se l’uomo di cui parli non avesse realizzato qualcosa di importante? Quando qualcuno è del tutto insignificante, non c’è altro da dirgli che rimanere modesto e silenzioso. Questo è ciò che ti consiglio di fare.

Mileva rimase in silenzio ma la sua amica Milana Bota disse a un giornale serbo nel 1929 che avrebbero dovuto parlare con Mileva per scoprire la genesi della relatività speciale, poiché lei era direttamente coinvolta. Il 13 giugno 1929 Mileva scriveva a Helene Savić: ”Queste pubblicazioni sui giornali non si adattano affatto alla mia natura, ma credo che tutto ciò fosse per la gioia di Milana, e che probabilmente pensava che questa sarebbe stata una gioia anche per me, poiché posso solo supporre che volesse aiutarmi a ottenere alcuni diritti pubblici nei confronti di Einstein. Lei mi ha scritto così e io ho lasciato che fosse accettato così, altrimenti sarebbe tutta una sciocchezza.

Secondo Dord Krstić, ex professore di fisica all’Università di Lubiana, Mileva ha parlato del suo contributo alla madre e alla sorella. Scrisse anche ai suoi padrini spiegando come avesse sempre collaborato con Albert e come lui le avesse rovinato la vita, ma chiese loro di distruggere la lettera. Suo figlio Hans-Albert raccontò a Krstić come “la collaborazione scientifica dei suoi genitori continuò durante il loro matrimonio e che ricordava di averli visti lavorare insieme la sera allo stesso tavolo“.

Le loro lettere e le numerose testimonianze dimostrano che Mileva Marić e Albert Einstein collaborarono strettamente dai tempi della scuola fino al 1914. Albert ne fa più volte riferimento nelle sue lettere, come quando scrive: “il nostro lavoro sul moto relativo“.

Senza di lei non ci sarebbe probabilmente mai riuscito. E lei è un’altra di quelle innumerevoli donne scienziate che hanno abbandonato le proprie aspirazioni per lavorare a un passo indietro e contribuire al successo del marito. Probabilmente lei ha acconsentito poiché la sua felicità dipendeva dal suo successo o, molto più probabile, la società di allora mai avrebbe accettato che una donna arrivasse a simili traguardi.

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Fonte:Scientific American

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