Una serie di scatti che raccontano la tragica storia di Chernobyl, un viaggio per mostrare dove le istituzioni governative della Bielorussia hanno rinchiuso i disabili e le vittime del più grande disastro nucleare della storia.
Una serie di scatti che raccontano la tragica storia di Chernobyl, un viaggio per mostrare dove le istituzioni governative della Bielorussia hanno rinchiuso i disabili e le vittime del più grande disastro nucleare della storia.
Jadwiga Bronte è una fotografa e documentarista polacca trentenne, le sue fotografie racchiuse in un book dal titolo ‘The invisible people of Belarus’, danno voce a tutti gli invisibili degli internats, gli istituti governativi che ospitano appunto i reduci di Chernobyl e i disabili.
La disabilità è ancora vista come un tabù per cui difficilmente un genitore tiene con sé il proprio figlio, preferisce nasconderlo, lontano dalla società per paura di essere discriminato e giudicato.
Trent’anni fa esplodeva il reattore ucraino, ma le radiazioni fuoriuscite dalla centrale continuano a mietere vittime.
LEGGI anche: LE CITTÀ APOCALITTICHE DI CHERNOBYL COME NON LE AVETE MAI VISTE (VIDEO)
“Sono nata in Polonia, proprio durante il disastro di Chernobyl nel 1986. Ho deciso di andare in Bielorussia per documentare le storie di bambini orribilmente trascurati e abbandonati, nati con deficienze mentali e fisiche a causa di quel tragico incidente di 30 anni fa. Durante le mie ricerche, ciò che mi ha sorpreso di più è stato il fatto che non c’erano solo le vittime di Chernobyl in questi istituti”, dice Bronte.
Infatti, gli internats sono molto di più: una via di mezzo tra un orfanotrofio, un asilo e un ospizio per le persone con disabilità mentale, sindrome Down, le persone con mutazioni fisiche, deformazioni, e le persone con Aids. In poche parole un luogo in cui vengono rinchiusi tutti coloro che non rispettano i canoni di una società ordinata, tutti coloro che è più comodo dimenticare che accudire.
LEGGI anche: LE NONNE DI CHERNOBYL: LA STORIA DELLE DONNE CHE VIVONO NELLA ZONA DI ALIENAZIONE
“Credo che per migliorare la situazione degli ‘internats’ bielorussi, bisogna innanzitutto cambiare la mentalità dei bielorussi. È nelle loro mani la possibilità di cambiare il futuro di questo popolo di rinchiusi. Ma qui non vi è neanche libertà di stampa, per questo ho realizzato questo progetto per far capire al resto del mondo come si vive qui e come Chernobyl abbia per sempre cambiato la vita di molte persone, spiega.
LEGGI anche: L’ULTIMO ABITANTE DI CHERNOBYL, TRENT’ANNI DOPO IL DISASTRO NUCLEARE
Non possiamo dimenticare le vittime delle radiazioni, non possiamo dimenticare chi vive silenziosamente.
“Durante il progetto alcuni ragazzi mi hanno detto: Non parliamo mai, non ci lamentiamo, non urliamo. Siamo pazienti, come sempre. Abbiamo paura di parlare. Il mondo è stato diviso in due: ci siamo noi, ‘quelli di Chernobyl’ e e poi ci sei tu, gli altri. Hai notato? Nessuno qui dice che siamo russi, bielorussi o ucraini. Siamo quelli che vengono da Chernobyl. Come se fossimo un popolo separato. Una nuova nazione”.