Da diversi mesi dorme nella sua cella all'interno del carcere romano di Regina Coeli. Lo chiamano il 'simulatore', nonostante gli sforzi di medici e personale carcerario, nessuno sa cosa abbia questo detenuto di 28 anni. Ma in un sistema che tollera tutto questo c'è qualcosa che non funziona
I suoi occhi sono sempre chiusi, è immobile, sdraiato sul letto di una delle celle del carcere romano di Regina Coeli. A raccontare la storia di questo ragazzo pakistano di 28 anni è Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone, sul suo blog del Fatto Quotidiano.
Marietti ha incontrato questo ragazzo a giugno e da allora continua a chiedere notizie del detenuto che dorme sempre, mangia e beve come fosse un automa. Secondo gli addetti del carcere si tratta di un ‘simulatore’.
“In questi mesi ho chiesto notizie, spiegazioni, soluzioni. Ma non sono riuscita ad arrivare a capo di nulla”, scrive la coordinatrice sul suo blog. “L’infermiere mi ha spiegato che il ragazzo dorme sempre. Lui gli svuota il catetere, gli cambia il pannolone, gli infila un po’ di cibo liquido in bocca che l’uomo deglutisce in maniera meccanica. Gli ho domandato da quanto tempo il ragazzo si trovasse in quelle condizioni. Alcuni mesi, mi è stato risposto”.
La coordinatrice spiega che il personale del carcere chiama questo detenuto con l’appellativo di “simulatore”.
“Ho chiesto il perché e mi è stato detto che i vari controlli medici – molti, anche esterni al carcere, presso l’ospedale Sandro Pertini dove il ragazzo è stato più volte ricoverato – non hanno mai riscontrato nulla di oggettivo. Ho provato a dire che la simulazione è un comportamento che viene messo in atto intenzionalmente e che nessuno simulerebbe mesi di morte apparente”.
Nonostante i tentativi di parlare con lui, Marietti racconta che il detenuto non ha mai reagito.
“Il ragazzo non ha nulla di oggettivo dal punto di vista medico. Quindi non c’è nulla che si possa fare per lui: non un provvedimento di incompatibilità con il carcere per motivi di salute, non un trasferimento in luogo di cura”, racconta ancora nel blog spiegando che sia i medici che il personale carcerario si sono impegnati per cercare di capire la situazione, ma non si è venuti a capo di nulla. “La colpa non è di nessuno in particolare. Ma in un sistema che può tollerare la presenza dell’uomo che dorme in una cella al centro di Roma c’è qualcosa che non funziona”, chiosa la coordinatrice.
Fonte: Susanna Marietti/Blog Il Fatto quotidiano
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