“Il fresco profumo di libertà”, l’insegnamento di Paolo Borsellino è ancora un monito per le nuove generazioni

L'indimenticabile Paolo Borsellino aveva fiducia nelle giovani generazioni, che considerava "le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità." In occasione dell'anniversario della sua nascita, vogliamo ricordarlo con le sue parole cariche di speranza (ma che purtroppo, non hanno trovato riscontro nella realtà...)

Sono sicuro che il prossimo sono io”, ripete Paolo Borsellino a ogni persona che incontra. “Ora tocca a me”, confessa a don Francesco Ficarotta, parroco di Santa Luisa di Marillac, dove il giudice va a messa ogni domenica.

Così dice convinto ogni volta che può, Borsellino, in quei 57 giorni che separano la strage di Capaci da quella di via D’Amelio. Era una cosa che s’aspettava, certo, gli assassini e i loro mandanti di una Cosa Nostra spietata e sanguinaria.

Lui e Giovanni Falcone appartenevano al Pool antimafia che fece approdare le indagini al maxiprocesso di Palermo contro la mafia. 19 ergastoli, tra cui quelli a Totò Riina e Bernardo Provenzano, 2665 anni di carcere, 11 miliardi e mezzo di lire di multe e 114 assoluzioni.

Tanto bastò, ai mafiosi, per azionare una bomba una, due, cento volte. Non conta quante, conta chi va eliminato. Una strategia del terrore sempre uguale a se stessa eppure ogni volta accolta con rinnovato stupore. Per uccidere proprio Paolo Borsellino, per esempio, Cosa Nostra usa lo stesso metodo messo in pratica nell’83 con Rocco Chinnici, altro magistrato di Palermo: una 126 piena zeppa di esplosivi, gli appostamenti, i meccanici corrotti, i palazzinari. Un lavoro lungo e certosino che si ripete con una certa logica e regolarità e che pure sfugge alle indagini per anni, per decenni. Perché, probabilmente, fa molto più parte del tessuto delle istituzioni di quanto si potesse immaginare.

Quello che accumuna le stragi, infatti, è la netta consapevolezza che quegli eccidi saranno reiterati nel tempo. Il come si sa, bisogna solo stabilire quando. Ma nessuno lo fa: per anni, la macchina corrotta dello Stato fa il paio con la macchina assolutista della mafia. Tutti sanno che Paolo Borsellino è “un morto che cammina”, ma nessuno fa qualcosa di significativo. Lui non ha mezzi, non ha strumenti, è sostanzialmente solo.

La sequenza delle omissioni da parte delle autorità competenti, che dovrebbero tutelare Borsellino e i suoi familiari, segna gli ultimi giorni del giudice. Non viene nemmeno allontanato dalla Sicilia, seppure temporaneamente, com’era accaduto ai tempi dell’Asinara (dove tra l’altro pagarono anche le spese di vitto, ndr). I poteri che richiede per le indagini servirebbero, in qualche modo, a tutelare anche lui stesso, mentre cerca il movente ultimo della strage di Capaci. Infine, nelle settimane precedenti la morte, attende invano di essere convocato come testimone dai colleghi di Caltanissetta, che indagano sull’uccisione di Falcone e a cui vorrebbe dire ciò che ha scoperto. Anzi, per usare un’espressione dell’avvocato Trizzino, “implora” di essere ascoltato.

Paolo Borsellino verrà assassinato in quella via d’Amelio il 19 luglio di 32 anni fa. Insieme a lui moriranno Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Quel fresco profumo di libertà, l’insegnamento di Paolo Borsellino

Il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coivolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.

Così Paolo Borsellino intendeva la lotta alla mafia, che doveva essere “la risultanza della crescita del sentimento cristiano della vita in generale“.

Quel fresco profumo della libertà, insomma, rimane solo una lontana chimera se non è la collettività nel suo intero a lottare contro la prepotenza inaudita della mafia, presente sin nelle viscere di qualsiasi strato sociale. Non facciamo finta di non vedere.

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Fonte: quanto scritto in questo articolo è tratto da Le due stragi che hanno cambiato la storia d’Italia (Newton Compton editori, 2022) di Vincenzo Ceruso

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