Bambine dall’infanzia negata, violate, abusate, distrutte fisicamente ed emotivamente. Casi non isolati che toccano da vicino le tribù indigene del Paraguay, una delle minoranze più indifese del mondo, costretta da sempre a subire soprusi.
Bambine dall’infanzia negata, violate, abusate, distrutte fisicamente ed emotivamente. Casi non isolati che toccano da vicino le tribù indigene del Paraguay, una delle minoranze più indifese del mondo, costretta da sempre a subire soprusi.
Non solo minacce finalizzate al depauperamento delle risorse, ma anche e soprattutto violenze sessuali nei confronti di donne e bambine indigene costrette a subire e stare in silenzio per paura, vergogna e minacce di morte.
“Mia sorella è stata violentata a 9 anni da un uomo che aveva problemi con l’alcol” dice Ana (nome di fantasia), una ragazza nativa del dipartimento di Boquerón.
La sorella di Ana vendeva dolci per le strade e talvolta prendeva scorciatoie giù per la montagna per accorciare la lunga strada di ritorno a casa. È stato in una di quelle occasioni che un uomo approfittando del buio, le ha tappato la bocca e l’ha violentata.
“All’inizio, non voleva dire chi fosse, ma sapevamo che era qualcuno del vicinato. L’aveva minacciata di violentare le altre sorelle se avesse detto qualcosa”.
Una scena dell’orrore perché quando la bambina ha scoperto di essere rimasta incinta, è stata costretta a sposare il suo carnefice e adesso stanno insieme da sette anni.
Nelle comunità indigene, questa storia succede spesso, ma le bambine violate non dicono nulla per paura di svergognare la famiglia o la comunità. Così subiscono in silenzio e si portano addosso un peso micidiale che le segnerà per tutta la vita.
Gli stupri avvengono spesso tra comunità differenti, ma le leggi passano attraverso i leader che mai permettono denunce, allontanando polizia e commissari fuori dalla comunità.
Un’altra storia è quella di una bambina di 11 anni violentata dal patrigno. “La bambina ha detto alla madre, ‘mi stupra, mi sta violentando, oggi mi ha violentata’, e la madre non gli ha creduto”.
“Un paraguaiano ha violato mia madre. Quando l’ho saputo, ho capito che di certo non l’aveva fatto per amore “, sospira Ana che racconta poi la propria esperienza.
“Mi è quasi capitato una volta. Stavo dormendo quando era arrivato uno zio di 40 anni che aveva già violentato mia nipote. Mi sono svegliata e ho visto che avevo un pezzo di lenzuolo in bocca. Ho cercato di scappare inutilmente ma per fortuna in quel momento i miei fratelli sono tornati da scuola e non è successo niente. Inconsapevolmente mi hanno salvato”.
Ma la ragazza racconta poi che lo stesso zio ha cercato di violentare il fratello più piccolo mentre la madre era in fabbrica a lavorare.
María è una giovane donna indigena del dipartimento di Amambay e racconta che nonostante le violenze nessuno denuncia. Lei stessa è stata violentata ma pur di non dire nulla ha preferito andare via dalla comunità che comunque l’avrebbe lasciata sola.
“Nessuno sa perché. Ma se una ragazza se ne va di casa è per colpa di abuso sessuale”, dice.
“Se vivi nella comunità, è come un’organizzazione. Se combatti con qualcuno, ti metti contro tutta la comunità”, dice ancora.
Da aprile 2017, ci sono stati 2595 casi di abusi sessuali su minori nelle comunità paraguaiane, ma non tutti i casi sono resi pubblici quindi il numero effettivo è molto più alto.
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Dominella Trunfio