I Māori hanno introdotto la parola “Takiwātanga”, ovvero “il mio tempo e spazio” per definire l’autismo, celebrandone le differenze invece che riconoscendone le difficoltà
Troppo spesso le persone neurodivergenti, come gli autistici, vengono messi da parte in un angolo, rifiutati e purtroppo derisi e discriminati. Non è così tra i Māori che anzi hanno introdotto nella loro lingua un termine apposito per indicare l’autismo, portando con sé una prospettiva profondamente inclusiva e rispettosa.
La parola “Takiwātanga” si traduce come “il mio tempo e spazio” e riflette una visione dell’autismo che non si limita a riconoscerne le difficoltà, ma ne celebra le differenze. La parola fu coniata nel 2017 dalla linguista Māori Keri Opai che ha voluto enfatizzare la connessione unica che le persone autistiche hanno con il loro ambiente e con il mondo, proponendo una percezione dell’autismo non come disabilità, ma come un dono o “taonga”.
In Nuova Zelanda, sebbene non esista ancora un registro nazionale sull’autismo, vari studi a livello regionale hanno indicato tassi di prevalenza inferiori rispetto a quelli di altre nazioni. Ad esempio, uno studio dell’Hutt Valley District Health Board, realizzato tra il 2012 e il 2016, ha evidenziato una prevalenza di 1 bambino autistico ogni 1.500, una cifra significativamente più bassa rispetto alle stime di paesi come gli Stati Uniti.
Tuttavia molti ritengono che queste stime siano incomplete, specialmente nelle aree rurali e a basso reddito, dove l’accesso ai servizi diagnostici è limitato. Secondo una ricerca del 2020, i dati attuali potrebbero sottostimare la prevalenza dell’autismo in Nuova Zelanda di circa il 40%.
Un invito all’inclusività e ad accogliere le differenze cognitive
In ogni caso, la comunità Māori ha giocato un ruolo fondamentale nel ridefinire il linguaggio relativo alle condizioni neurologiche e di salute mentale, creando termini che evitano qualsiasi forma di giudizio e che, invece, sottolineano la forza e le abilità individuali.
Nel glossario “Te Reo Hāpai” vengono introdotti numerosi termini non solo per descrivere l’autismo, ma anche per altri aspetti legati alla salute mentale e alla disabilità, fornendo un lessico che enfatizza l’empowerment e l’inclusività.
Il concetto di Takiwātanga rappresenta un cambio di paradigma che va oltre il riconoscimento dell’autismo come condizione neurologica, puntando su un’accettazione della neurodiversità. Un vero e proprio invito all’inclusività dove accogliere le differenze cognitive può rappresentare un vantaggio strategico, portando un arricchimento in termini di creatività e innovazione.
Questa apertura mentale evidenziata dal popolo Māori dovrebbe essere d’ispirazione per tutti noi, suggerendo che l’autismo non debba essere visto attraverso il filtro delle limitazioni, ma come un’opportunità per comprendere e valorizzare le diverse prospettive con cui ogni persona si relaziona con il mondo.
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Fonte: Education in New Zealand
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