E intanto l’Arabia Saudita ha giustiziato 81 persone nella più grande esecuzione di massa del Paese

Mentre la guerra in Ucraina imperversa, l’Arabia Saudita giustizia 81 persone in un solo giorno. Non dimentichiamocelo

La pena di morte applicata per una serie di accuse nella più grande esecuzione di massa mai eseguita nella storia moderna del regno. Così, ben 81 persone sono state portate al patibolo in Arabia Saudita, molte delle quali senza neppure “una goccia di sangue sulle mani”, come hanno detto gli attivisti per i diritti umani. Un bagno di sangue ingiustificato, nonostante le recenti promesse di limitare l’uso delle esecuzioni capitali.

In un comunicato dell’agenzia di stampa ufficiale saudita, il ministero dell’Interno saudita ha affermato che le persone sarebbero state giustiziate per “molti crimini efferati che hanno causato la morte di un gran numero di civili e forze dell’ordine”, senza specificare come venissero giustiziati.

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Tutte le vittime sarebbero, insomma, legate allo “Stato islamico, Al- Qaeda, gli Huthi e altre organizzazioni terroristiche”, aggiungendo – dicono dalla Saudi Press Agency – che stavano pianificando attacchi in luoghi vitali e contrabbandando armi nel Paese. Delle 81 persone, 73 erano cittadini sauditi, 7 yemeniti e un siriano.

I gruppi per i diritti umani hanno prontamente condannato le esecuzioni, affermando che erano contrarie alle affermazioni del principe ereditario Mohammed bin Salman, il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, secondo cui il paese stava revisionando il sistema giudiziario limitando l’uso della pena di morte.

Queste esecuzioni sono l’opposto della giustizia – afferma Ali Adubusi, il direttore dell’Organizzazione saudita europea per i diritti umani (ESOHAR). E in molti dei casi, le accuse contro gli accusati non riguardavano nemmeno “una goccia di sangue”.

Quel che pare ovvio è che l’Arabia Saudita abbia cercato di ripulire la sua immagine negli ultimi anni (e qualche politico italiano non ha mancato di lucidare ulteriormente), nel tentativo di attirare turismo e soprattutto affari e capitali. Ma la sua guerra in Yemen, l’uccisione nel 2018 dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi in un consolato saudita e la repressione del dissenso lasciano macchie indelebili sulla reputazione del Paese e di Mohammed bin Salman.

Secondo il gruppo per i diritti ESOHAR, infine, tra le 81 persone giustiziate, non c’erano reali accuse che meritassero (e qui ragioniamo per assurdo) la pena di morte. Almeno secondo i criteri che l’Arabia Saudita ha reso pubblici. Alcune delle accuse, anzi, erano legate alla partecipazione a manifestazioni per i diritti umani.

Mentre, insomma, la guerra praticamente alle nostre porte ci ricorda, un po’ come piccoli scolari, che sì i conflitti armati ancora esistono e che nel mondo sono molti di più di quanto si pensi, c’è un altro grande capitolo che dovrebbe venire prima di qualsiasi altro tipo di sgomento: i diritti civili e quelli umani continuano ad essere calpestati e in vaste aree del globo, in quelle che nemmeno si immagina, continuano a tenersi processi gravemente iniqui.

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Fonti: Saudi Press Agency / ESOHAR

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