Il drammatico racconto di Andrew Windyboy sulle scuole residenziali per bambini indigeni (e del loro genocidio culturale)

Andrew Windyboy ha ricordato quanto accadeva nelle scuole residenziali per bambini indigeni dove le lingue native erano vietate e venivano perpetrati maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali

Andrew Windyboy, Chippewa Cree, ha raccontato in un discorso emozionante l’esperienza dolorosa delle scuole residenziali per bambini indigeni, un capitolo oscuro della storia americana e canadese. Windyboy ricorda come la sua lingua nativa, il Cree, fosse vietata e come, per ogni parola che pronunciava, fosse punito severamente.

La sua testimonianza evidenzia la brutalità e il tentativo di assimilazione forzata che ha caratterizzato queste istituzioni, che non solo cercavano di distruggere la cultura indigena, ma anche di “uccidere” simbolicamente l’identità dei bambini attraverso l’abuso fisico e psicologico.

Le scuole residenziali sono state utilizzate dai governi degli Stati Uniti e del Canada come veri e propri strumenti di genocidio culturale. Questo processo non si limitava alla soppressione delle lingue e delle tradizioni indigene, ma comportava anche maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali, come testimoniato dalle esperienze di numerosi sopravvissuti.

Vivevano in condizioni disumane e tanti sono scomparsi senza mai avere giustizia

Il fondatore delle scuole residenziali, Richard H. Pratt, aveva dichiarato senza mezzi termini che l’obiettivo era “uccidere l’indiano” e salvare l’uomo, un pensiero che si rifletteva nelle politiche della scuola. E in effetti era così: molti bambini, come raccontato da Windyboy, sono stati separati dalle loro famiglie e costretti a vivere in condizioni disumane, dove la violenza e l’umiliazione erano all’ordine del giorno.

La morte era una presenza costante: alcuni bambini sono morti a causa delle pessime condizioni igieniche e alimentari, mentre altri sono scomparsi senza che mai venisse fatta giustizia. Le storie di abusi fisici e psicologici, come quelle condivise da sopravvissuti come Ruth Roulette e Tim Gaigo, dipingono un quadro di terrore e sopraffazione.

Le scuole residenziali non solo hanno sottratto ai bambini la possibilità di vivere una vita normale, ma hanno anche cancellato la loro connessione con le proprie radici culturali. Le politiche di assimilazione, come la proibizione di parlare le lingue native, hanno avuto effetti devastanti a lungo termine, creando generazioni di persone incapaci di connettersi con la propria identità.

Tuttavia, nonostante il dolore e il trauma, i popoli indigeni continuano a lottare per la giustizia e la riconciliazione. Le scuole sono state chiuse, ma la lotta per la sovranità e il rispetto delle tradizioni indigene continua. Le dichiarazioni di Windyboy e altri sopravvissuti sono l’emblema di come non si possa e non si debba dimenticare il genocidio culturale che ha avuto luogo.

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