Il Rapporto documenta le gravi violazioni dei diritti umani subite dai lavoratori migranti nepalesi impiegati da società di fornitura di manodopera e assunti per lavorare nei magazzini di Amazon in Arabia Saudita. Molti degli uomini intervistati sono vittime della tratta di esseri umani
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Costretti a vivere in case sporche e sovraffollate, derubati dei loro guadagni e tenuti in ostaggio dalle società di reclutamento che non gli permettono di trovare un lavoro alternativo o di lasciare il Paese. Sono i lavoratori nepalesi impiegati nei magazzini di Amazon in Arabia Saudita che, in alcuni casi, sono vittime di tratta degli esseri umani.
La denuncia viene da Amnesty International che pubblica il rapporto ‘Don’t worry, it’s a branch of Amazon’, ‘Non preoccuparti, è una filiale di Amazon’ e racconta di un meccanismo perverso portato avanti dalle società di reclutamento proprio per il colosso statunitense. Il rapporto documenta le gravi violazioni dei diritti umani subite dai lavoratori migranti nepalesi impiegati da società di fornitura di manodopera e assunti per lavorare nei magazzini di Amazon in Arabia Saudita. Vediamo nel dettaglio.
Lavoratori ingannati
Amnesty international ha intervistato i lavoratori nepalesi. Per assicurarsi un lavoro presso le strutture di Amazon in Arabia Saudita, i lavoratori hanno pagato agli agenti di reclutamento in Nepal una cifra media di 1.500 dollari. Le società dal loro canto hanno fatto credere a questi lavoratori che sarebbero stati assunti direttamente da Amazon.
Spinti da questa convinzione, i lavoratori hanno lasciato il Nepal per assicurare una vita più dignitosa alla propria famiglia, ma in realtà, quando hanno ricevuto tutta la documentazione, il giorno stesso della partenza, hanno iniziato a sospettare che le cose non fossero proprio così, ovvero che il loro datore di lavoro non sarebbe stato appunto Amazon, ma una società esterna: quella che li stava reclutando.
“Sono stati ingannati da agenti di reclutamento e da aziende di fornitura di manodopera, privati dei loro salari, costretti a vivere in condizioni terribili e ostacolati nel cercare un’occupazione alternativa o nel lasciare il paese”, si legge nel rapporto che spiega anche che Amazon non è riuscita a evitare che i lavoratori a contratto in Arabia Saudita fossero esposti in modo ricorrente a violazioni dei loro diritti umani, nonostante le numerose denunce dirette da parte dei lavoratori stessi riguardo al loro trattamento.
“In molte circostanze, è altamente probabile che le violazioni subite dai lavoratori abbiano costituito casi di tratta di esseri umani, considerando l’inganno che si è verificato durante il loro reclutamento e lo sfruttamento subito una volta arrivati sul luogo di lavoro”.
Il rapporto si basa sulle informazioni raccolte da 22 uomini provenienti dal Nepal, che hanno lavorato nei magazzini di Amazon a Riad o Gedda tra il 2021 e il 2023, assunti da due fornitori esterni di manodopera: Abdullah Fahad Al-Mutairi Support Services Co. (Al-Mutairi) e Basmah Al-Musanada Co. for Technical Support Services (Basmah).
“I lavoratori pensavano di aver trovato un’opportunità d’oro con Amazon. Al contrario sono finiti a subire violazioni dei diritti umani, che li hanno lasciati in molti casi traumatizzati. Abbiamo modo di sospettare che centinaia di loro abbiano subito trattamenti terribili. Molte delle persone che abbiamo intervistato hanno subito violazioni così gravi da poter essere equiparabili a tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo”, ha dichiarato Steve Cockburn, responsabile della giustizia economica e sociale di Amnesty International.
Degrado e sfruttamento
Per ottenere lavoro presso le strutture di Amazon in Arabia Saudita, i testimoni, con un’eccezione, hanno raccontato di aver pagato agli agenti di reclutamento in Nepal una media di 1.500 dollari statunitensi (circa 1400 euro). Alcuni hanno dovuto chiedere prestiti ad alto interesse per coprire queste spese.
“Mi sono reso conto che era un’azienda diversa il giorno del volo. Ho visto nel mio passaporto che c’era scritto ‘Al Basmah Co.’ ma l’agente ha detto ‘non preoccuparti, è una filiale di Amazon’”, spiega un intervistato nel Rapporto.
Arrivati in Arabia Saudita, quello che i lavoratori hanno trovato sono state case fatiscenti e affollate, a volte infestate da insetti.
“L’alloggio era estremamente sporco, senza aria condizionata, senza ventilatori. La temperatura era di 50°C, c’erano così tanti lavoratori, nessun letto, gas per cucinare o acqua potabile. Non c’era internet, quindi non potevamo contattare la nostra famiglia”, spiega un altro lavoratore.
Decurtazione dello stipendio e problemi di salute
“Hanno svolto mansioni nei magazzini di Amazon – si legge ancora nel Rapporto- tuttavia le aziende appaltatrici hanno frequentemente decurtato una parte dei loro salari e/o delle indennità alimentari senza fornire spiegazioni e hanno retribuito l’orario straordinario in modo inadeguato”.
Ma non solo. Nei magazzini, i lavoratori hanno riferito di essere stati costretti a sollevare costantemente oggetti molto pesanti, a sforzarsi per raggiungere obiettivi di produttività estenuanti, a subire un monitoraggio continuo e a non poter godere di adeguati momenti di riposo. In alcuni casi, ciò ha causato infortuni e problemi di salute. Un dipendente ha affermato di aver subito una sospetta frattura al braccio e di essere stato dichiarato inabile al lavoro per un mese da un medico. Tuttavia, poiché l’azienda appaltatrice ha rifiutato di fornire un’indennità di malattia, è dovuto tornare al lavoro entro due settimane.
La maggior parte dei lavoratori ha firmato contratti di due anni con le aziende di fornitura di manodopera, ma molti hanno trascorso meno di 12 mesi presso le strutture di Amazon prima della fine dell’impiego, che alcuni hanno paragonato a un “licenziamento”. Le aziende fornitrici di manodopera hanno poi trasferito queste persone “senza lavoro” in alloggi ancora peggiori, interrompendo i pagamenti degli stipendi e, in alcuni casi, delle indennità alimentari. Senza alcuna protezione sociale o supporto da parte dello stato saudita, alcuni hanno cercato di sopravvivere mangiando solo pane e sale, e bevendo acqua salata.
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Intrappolati in Arabia Saudita
La maggior parte degli intervistati non ha più avuto offerte di lavoro, ma gli appaltatori hanno approfittato del sistema di sponsorizzazione dell’Arabia Saudita o kafala, che, nonostante alcune recenti riforme lega i lavoratori stranieri ai loro datori di lavoro, impedendo loro di cambiare impiego senza il consenso del datore stesso e limitando la loro capacità di lasciare liberamente il paese.
I dirigenti delle aziende di fornitura di manodopera si sono rifiutati di dare i documenti di “autorizzazione al trasferimento” richiesti dalla normativa saudita per consentire ai lavoratori di cambiare datore di lavoro entro il primo anno. Se i lavoratori se ne fossero andati senza permesso, avrebbero rischiato l’arresto per “fuga”. Molti volevano tornare a casa prima della scadenza del loro contratto, ma i dirigenti di Al-Mutairi non hanno voluto acquistare i biglietti aerei che erano legalmente obbligati a fornire e hanno detto ai lavoratori che avrebbero dovuto pagare una “multa” compresa tra 1.330 e 1.600 dollari (circa 1200-1500 euro) per i documenti di uscita.
Di conseguenza, i lavoratori sono rimasti bloccati in condizioni vergognose, alla mercé degli appaltatori di Amazon. Alcuni hanno addirittura pensato al suicidio. “Ho provato a saltare giù da un muro, ho cercato di uccidermi. L’ho detto a mia mamma e lei ha pregato di ‘non farlo, otterremo un prestito’. Sono già passati otto mesi da quando ha chiesto un prestito e gli interessi si stanno accumulando”.
E Amazon?
“L’Arabia Saudita è stata identificata in una valutazione del rischio condotta da Amazon nel 2021, il che significa che l’azienda era consapevole dell’alto rischio delle violazioni lavorative nel paese”, spiega Amnesty.
I lavoratori hanno iniziato a presentare denunce direttamente ai dirigenti di Amazon in Arabia Saudita nel 2021, scrivendo su lavagne dedicate nei magazzini o verbalmente durante incontri giornalieri. Tuttavia, queste denunce venivano spesso ignorate e le violazioni sono proseguite fino al 2023.
“Amazon è perfettamente a conoscenza di ogni singolo problema che abbiamo con l’azienda di fornitura. Amazon chiede ai lavoratori di segnalare eventuali problemi o questioni durante gli incontri giornalieri”, spiega un lavoratore.
Alcuni lavoratori che hanno presentato denunce ad Amazon sono stati oggetto di ritorsioni da parte delle aziende appaltatrici. Uno ha raccontato che gli stipendi sono stati decurtati dopo le denunce ad Amazon riguardo alle condizioni di vita. Un lavoratore ha raccontato dopo essersi lamentato con Amazon riguardo alla qualità dell’acqua nell’alloggio è stato portato in ufficio dall’azienda di fornitura e picchiato da un supervisore di Al-Mutairi. Quando successivamente ha informato un dirigente di Amazon dell’aggressione, ha raccontato che la risposta è stata: “non è affar nostro”.
“Il rapporto di Amnesty International rivela che Amazon ha contribuito a tali violazioni non rispettando le proprie politiche né le Linee guida delle Nazioni Unite per le Imprese e i diritti umani, e potenzialmente ha tratto vantaggio dai servizi di vittime di tratta di esseri umani, come definito dal diritto internazionale e dagli standard”.
Per questo, Amnesty International esorta urgentemente Amazon a retribuire i lavoratori, a indagare urgentemente sulle prassi lavorative in tutte le sue strutture e catene di fornitura, a rafforzare la dovuta diligenza e garantire che i lavoratori possano esprimere le loro opinioni e essere ascoltati senza timore di ritorsioni.
La replica di Amazon
Dopo la pubblicazione del nostro articolo, siamo stati contattati da Amazon, che ha replicato così attraverso John Felton, Senior Vice President di Amazon Worldwide Operations:
Amazon non tollera violazioni agli elevati standard richiesti alla sua filiera nè ai principi fondanti dei Diritti Umani a livello globale, e valuta ogni accusa di violazione con estrema serietà. Garantire condizioni di lavoro sicure, sane ed eque è un requisito fondamentale per chi collabora con Amazon in ogni Paese in cui operiamo. Ci ha turbato profondamente che alcuni dei dipendenti di un nostro fornitore in Arabia Saudita non siano stati trattati secondo gli standard da noi fissati e con la dignità e il rispetto che meritano. Abbiamo apprezzato che si siano fatti avanti per riportare la loro esperienza. Il nostro processo di audit della filiera e le nostre indagini hanno fatto emergere violazioni delle nostre norme da parte di un nostro fornitore terzo, con il quale abbiamo lavorato a stretto contatto per arrivare alla definizione di un piano di conformità condiviso per la risoluzione del problema che affrontasse tutte le violazioni e fosse conforme al nostro Codice etico.
Ciò include la garanzia che i loro dipendenti siano risarciti per le retribuzioni non pagate, che siano forniti alloggi puliti e sicuri e che il fornitore si impegni a garantire una protezione costante dei lavoratori. Continueremo a lavorare a stretto contatto con il fornitore per assicurarci che apporti modifiche verificabili in modo da garantire a tutti i lavoratori interessati assistenza adeguata. Pur avendo preso in considerazione l’idea di sospendere immediatamente il rapporto con il fornitore quando sono emerse le accuse, abbiamo deciso che fosse nell’interesse dei suoi dipendenti, molti dei quali si sono recati in Arabia Saudita da altri Paesi per motivi di lavoro, collaborare attivamente con il fornitore per apportare cambiamenti significativi nelle sue attività.
Rendiamo disponibili ai lavoratori nei nostri siti un’ampia gamma di modalità tramite cui segnalare problemi relativi alle loro condizioni di lavoro, tra queste una linea telefonica riservata attiva 24 ore su 24, e li incoraggiamo ad usufruirne al fine di garantire il rispetto delle norme da parte di tutti i nostri fornitori ovunque operiamo. Inoltre, stiamo implementando controlli più severi per tutti i nostri fornitori, al fine di garantire che non si verifichino incidenti simili e di rafforzare gli standard generali per i lavoratori in questa regione, anche attraverso una formazione più approfondita per i nostri fornitori terzi sulle norme relative ai diritti dei lavoratori, con un focus specifico sul processo di selezione del personale, sulle retribuzioni e sulle frodi” afferma John Felton, Senior Vice President di Amazon Worldwide Operations.
Inoltre l’azienda fa sapere che se il fornitore non dovesse apportare le modifiche richieste, si svincolerà n modo responsabile e garantirà che tutti i lavoratori interessati ricevano un’assistenza adeguata.
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Fonte: Amnesty International
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