In Kirghizistan le spose sono rapite, violentate e costrette al matrimonio: un dramma vietato solo su carta

Lo chiamano “Ala kachuu”, che letteralmente significa “prendere e scappare”, ed è il rapimento delle donne kirghise finalizzato al matrimonio

Lo chiamano “Ala kachuu”, che letteralmente significa “prendere e scappare”, ed è il rapimento delle donne kirghise finalizzato al matrimonio. Una pratica considerata illegale dal Kirghizistan da ormai più di un decennio. Ma che di fatto è ancora ufficiosamente accettata. In un Paese che di recente ha avuto anche un presidente donna

Circa una giovane donna su cinque in Kirghizistan viene rapita per matrimonio e, secondo uno studio del 2017 (“Forced Marriage and Birth Outcomes”, pubblicato su Demography), i loro bambini sono anche più piccoli della media, probabilmente a causa del disagio psicologico delle madri.

L’Ala kachuu, il rapimento della sposa, è così intrinseco ancora nella cultura del Kirghizistan, ex repubblica Sovietica (ma anche in Paesi come Armenia, Etiopia, Kazakistan e Sudafrica), che a sradicarlo si fa fatica e a parlarne ancora di più. Complici una forte mentalità patriarcale e le antiche tradizioni nomadi.

Leggi anche: Il dramma delle spose bambine del Messico, vendute al miglior offerente all’età di 9 anni

Tradizioni che volevano (vogliono) una cosa sola: esprimere l’identità e la virilità dell’uomo kirghiso. Tutto il resto lascia il tempo che trova. Il potenziale sposo, di fatto, porta con la forza una giovane donna (19 anni l’età media) a casa sua – dove la famiglia avrà già iniziato a fare i preparativi per il matrimonio – e le fa pressione affinché lo accetti scrivendo una lettera di consenso e indossando un velo sul capo.

In molti casi, lo sposo violenterà la sua donna rapita per impedirle di tornare dalla sua famiglia a causa della vergogna.

Dopo il rapimento, queste donne non sono più considerate vergini. Inoltre, potrebbero essere percepite come testarde e bellicose se oppongono resistenza al matrimonio… (e) diventano meno attraenti per altri potenziali pretendenti, afferma il rapporto.

Tra il 16 e il 23% delle donne in Kirghizistan vengono rapite per matrimonio, ma il tasso è molto più alto tra l’etnia kirghisa, dove un terzo di tutti i matrimoni sono dovuti a rapimenti. L’etnia kirghisa costituisce il 70% dei 6 milioni di abitanti del Paese, che comprende anche uzbeki, russi e turchi.

Nello studio, si afferma anche come i bambini nati da spose rapite pesavano dagli 80 ai 190 grammi in meno rispetto a quelli nati da matrimoni combinati. Pesi alla nascita più piccoli sono stati collegati a un rischio più elevato di malattia, tassi di istruzione e guadagni più bassi. Non era chiaro il motivo per cui questi bambini fossero più piccoli, ma probabilmente era dovuto al trauma psicologico subito dalla madre a causa di un matrimonio forzato.

La pratica del matrimonio forzato è una pratica criminale e una violazione dei diritti delle donne e delle ragazze, tuttavia, i matrimoni forzati e/o precoci sono ancora una piaga in Kirghizistan, con il 13% delle donne tra i 20 ei 24 anni che si sono sposate prima dei 18 anni, secondo i dati dell’UNICEF.

Sebbene il Kirghizistan abbia bandito il rapimento della sposa nel 2013 e abbia vietato il matrimonio precoce nel 2016, si pensa che circa 12mila giovani donne e ragazze vengano rapite per il matrimonio ogni anno, secondo il Women’s Support Center in Kirghizistan.

Un reato non perseguito

Nel dicembre del 2012 il Parlamento kirghiso ha approvato una legge per inserire nel codice penale il reato di rapimento di una persona per costringerla al matrimonio. Entrata in vigore il 26 gennaio 2013, la legge prevede una carcere fino a 10 anni per chi commette ala kachuu nei confronti di una ragazza minore di 17 anni e una pena massima di 7 anni negli altri casi. Non c’è bisogno di una denuncia da parte della vittima e il procedimento penale non si chiude nemmeno in caso di conciliazione tra le parti. 

Una riforma varata dal Parlamento kirghiso nel 2016 ha introdotto anche un comma che ora sancisce anche il divieto di contrarre un matrimonio religioso per le persone minori di 18 anni con pena detentiva tra i 3 e i 5 anni, prevista anche per i genitori della persona minorenne e per chi ha celebrato le nozze. 

Anche la procedura di registrazione dei matrimoni all’ufficio di stato civile ha subito delle modifiche, con l’introduzione di una formula per chiedere alla sposa se ha acconsentito all’unione. La registrazione ufficiale dei matrimoni, però, è ancora rara tra i kirghisi: nella maggior parte dei casi di rapimento, viene celebrato solo il matrimonio religioso, ufficiato dal leader musulmano locale (moldo) secondo i dettami della Sharia (la legge sacra islamica). 

Nel 2016, il Parlamento kirghiso ha discusso dell’introduzione dell’obbligo della registrazione civile del matrimonio prima di poter officiare la celebrazione religiosa, ma la proposta è stata respinta perché ritenuta in contrasto con la libertà di religione. Tra le richieste da parte delle associazioni che si battono per i diritti delle donne, c’è anche l’introduzione di un sistema per la registrazione dei matrimoni religiosi. 

Nonostante tutto ciò,nella realtà i casi di ala kachuu non vengono perseguiti. Molto gravano la mentalità patriarcale che influenza finanche l’atteggiamento della polizia e tutto l’ordinamento giudiziario: secondo un rapporto del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW), tra il 2011 e il 2016 sono state aperte indagini su 197 casi di sospetto rapimento: 26 sono stati chiusi per rinuncia di chi ha denunciato e 38 sono stati sospesi perché l’accusato si è sottratto alla giustizia non presentandosi al processo. 

https://www.facebook.com/baurzhan.orda/videos/1597963540471777/?t=1

La morte e le promesse delle Nazioni Unite

La notizia che riporta la morte di Aizada Kanatbekova come l’ultima vittima di “Ala Kachuu” è un tragico promemoria della necessità di porre fine a questa pratica brutale. Le donne e le ragazze del Kirghizistan e di tutti i paesi del mondo hanno il diritto di camminare in sicurezza nella loro patria senza essere esposte a rapimenti e violenze.

Così si legge in una nota delle Nazioni Unite in Kirghizistan, che invita tutte le parti interessate governative, comprese le forze dell’ordine e le forze di sicurezza, a intraprendere azioni tempestive e coordinate per rispondere e affrontare i casi registrati ai sensi dell’articolo 175 del codice penale, rapimento di una persona a scopo di matrimonio, e per garantire un’indagine efficace e tempestiva quando tali casi vengono portati alla loro attenzione.

Le Nazioni Unite incoraggiano inoltre l’attuazione e l’applicazione prolungate di leggi e disposizioni legali volte a prevenire e sradicare la violenza contro donne e ragazze, garantendo nel contempo che le sopravvissute siano al sicuro e protette, abbiano accesso a rimedi giudiziari giusti e che i colpevoli siano assicurati alla giustizia in linea con le dovute procedure di legge.

Il quinto rapporto periodico nazionale del Kirghizistan sull’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) sarà riesaminato nel 2021 o nel 2022. Nel 2015, le osservazioni conclusive della CEDAW, al Kirghizistan è stato raccomandato di mettere in atto misure globali per prevenire e affrontare la violenza contro le donne e le ragazze e garantire che le donne e le ragazze vittime di violenza abbiano accesso a mezzi immediati di riparazione e protezione e che i responsabili siano perseguiti e puniti adeguatamente; fornire una formazione obbligatoria per giudici, pubblici ministeri, polizia e altri funzionari delle forze dell’ordine sulla rigorosa applicazione delle disposizioni di diritto penale in materia di violenza contro le donne; e sulle procedure sensibili al genere per trattare con le donne vittime di violenza.

Qualcosa si fa, pare, ma per sradicare da un popolo quella che si è convinti sia una tradizione da rispettare ci potrebbero volere ancora decenni.

Fonti: Demography / United Nations System in Kyrgyzstan

Leggi anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Instagram