Una donna misteriosa, vestita di nero che aveva il compito di porre fine alle sofferenze dei moribondi o dei malati terminali. Era la femina accabadora, una figura tra mito e realtà, della tradizione sarda.
Alcuni sono convinti che non sia mai esistita, altri che fosse una figura ben definita e che aveva il compito di praticare una sorta di eutanasia attuale su persone allo stadio terminale. Non è facile trovare notizie sull’accabadora, già sul significato della parola ci sono diverse opinioni.
Forse il termine deriva dal verbo spagnolo acabar, che significa “finire / terminare”, ma potrebbe anche avere a che fare con il sardo accabaddare, un vocabolo dai diversi significati come “incrociare le mani ad un morto”, oppure “mettere a cavallo”, cioè far partire.
Una cosa sembra certa, l’accabadora non veniva considerata un’assassina, ma veniva chiamata proprio dai parenti dell’ammalato. Il suo compito era quello di procurare una morte rapida e indolore e per questo non doveva ricevere alcuna ricompensa in denaro, ma solo prodotti della terra.
La figura legata all’accabadora è quella che solitamente associamo nell’immaginario collettivo alla morte. Completamente vestita di nero, la femina accabadora agiva di notte entrando con il viso coperto nella casa del malato.
Proprio li, tra le quattro mura, gli procurava la morte che avveniva in maniera rituale. Venivano tolti dal malato amuleti e immagini sacre, ma anche sul cosa succedeva ci sono diverse teorie.
C’è chi sostiene che causasse la morte attraverso riti magici, chi che usasse un cuscino per provocare il soffocamento, chi che strangolasse il malato.
L’Accabadora è un film di Enrico Pau del 2016, questo è trailer:
La leggenda narra, infatti, che le pratiche di uccisione utilizzate dalla femina agabbadora variavano a seconda del luogo: entrare nella stanza del morente vestita di nero, con il volto coperto, e ucciderlo tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendolo sulla fronte tramite un bastone d’olivo (su mazzolu) o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolandolo ponendo il collo tra le sue gambe. Lo strumento più usato sarebbe un giogo, una sorta di martello di legno.
Tuttavia come dicevamo non ci sono vere e proprie fonti storiche su questa figura, gli antropologi ritengono che la femina agabbadora non sia mai esistita, ma invece ci siano state figure che portavano conforto alle famiglie dove c’era un moribondo, accompagnandolo fino all’ultimo istante di vita.Donne quindi che non procuravano la morte, ma che davano sostegno e quindi venivano rispettate da tutti.
E’ la protagonista del libro“Ho visto agire s’accabadora” (linkaffiliazione) di Dolores Turchi:
Per saperne di più sulla figura dell’accabadora vi invitiamo a visitare il Museo Etnografico di Galluras, dove si trovano libri e fotografie in merito.
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