Creme solari: tutto quello che devi sapere sui filtri solari e sui test (prima dell’arrivo dell’estate)

Ricordate già in questi giorni di primavera di portare sempre con voi una crema solare. Ma sapete quali sono e come funzionano i filtri solari? Interessante scoprire anche come vengono eseguiti i test sui prodotti prima di essere immessi sul mercato

È arrivata la primavera, le giornate si sono allungate e siamo più spesso esposti al sole. Sapete che non solo in estate è necessario proteggere la nostra pelle e quella dei più piccoli dai raggi solari?  Leggi anche: Quando bisogna iniziare a usare la crema solare? In troppi fanno questo errore (soprattutto con i bambini)

Iniziamo quindi fin da subito a portare sempre con noi un tubetto di crema solare da utilizzare al bisogno e adatta al nostro fototipo (o comunque con SPF 50+ nel caso dei bambini).

Nel seguente articolo vi abbiamo già dato alcuni suggerimenti per utilizzarla al meglio: Usi correttamente la crema solare? Ecco dove, quando (e ogni quanto) applicarla

Oggi vogliamo conoscere invece più da vicino i filtri solari e come funzionano, ma anche scoprire come viene testata l’efficacia delle creme solari.

Cosa sono e come funzionano i filtri solari

A scoprire come funzionano i differenti filtri solari che si utilizzano in creme e spray ci aiuta la Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, particolarmente interessata al tema in quanto, non utilizzare protezioni quando ci si espone al sole, aumenta il rischio di sviluppare tumori della pelle (rischio da non dimenticare né sottovalutare mai).

Al momento, la Commissione europea approva l’uso nei prodotti cosmetici di 45 filtri UV (qui trovate l’elenco).

Come spiega l’Airc:

I filtri solari contengono ingredienti attivi che assorbono, riflettono o diffondono i raggi UV. Gli ingredienti attivi possono essere composti inorganici, come il biossido di titanio (TiO2) e l’ossido di zinco (ZnO), o composti organici, come l’ossibenzone, l’octocrylene e il butil-metossidibenzoilmetano. In genere i primi sono definiti anche “filtri fisici” e i secondi “filtri chimici”. Per la verità si tratta in entrambi i casi di sostanze chimiche, mentre i meccanismi di azione con cui esse schermano dai raggi UV sono fenomeni fisici; sarebbe quindi più corretto distinguere tra filtri inorganici e filtri organici.

I filtri organici ed inorganici hanno un sistema di funzionamento differente: i primi “captano i raggi UV e l’energia assorbita viene emessa sotto forma di radiazione a bassa energia e lunghezza d’onda maggiore, oppure dissipata sotto forma di calore“. I filtri inorganici, invece, riflettono e disperdono i raggi del sole.

A volte alcuni prodotti contengono sia filtri organici che inorganici contemporaneamente per avere una maggiore efficacia, sfruttando la sinergia delle diverse sostanze.

Sia sui filtri organici che su quelli inorganici ci sarebbe molto da dire: alcuni dei primi infatti sono considerati pericolosi (ad esempio l’octocrylene di cui abbiamo parlato più volte in quanto tende a degradarsi in benzofenone, sostanza controversa), i secondi invece non sono sempre efficaci sui raggi UVA, come ha mostrato un test dello scorso anno.

Leggi anche:  Creme solari con filtri minerali, proteggono davvero? Un nuovo test “boccia” queste 5 marche da non acquistare

Indipendentemente che la protezione solare sia in crema, spray, gel o altro, in etichetta deve sempre riportare:

  • fattore di protezione solare (SPF – Sun Protection Factor), più il numero è alto maggiore sarà la protezione
  • ampiezza dello spettro solare: ovvero se il prodotto protegge dai raggi UVB, UVA o da entrambi
  • resistenza all’acqua: o “water resistant”, significa che il prodotto continua ad essere efficace anche quando si fa il bagno o si suda (questo non vuol dire però che la protezione può essere utilizzata una sola volta nel corso dell’esposizione al sole)

Come viene testata l’efficacia delle creme solari

Un particolare poco conosciuto delle creme solari è come viene testata l’efficacia dei vari prodotti dalle aziende che poi li mettono in commercio.

Come spiega l’Airc, attualmente l’efficacia delle protezioni solari è valutata tramite test effettuati su gruppi di volontari, in pratica si misura quanto le persone “si scottano” dopo un certo lasso di tempo di esposizione al sole, avendo prima spalmato una determinata crema solare.

Quindi si applica sulla pelle dei volontari (che hanno determinate caratteristiche) una certa quantità di crema, spray, latte o altri formati di protezione solare. L’efficacia del prodotto si misura verficando la pigmentazione della pelle o la comparsa di eritemi in seguito all’esposizione a una sorgente artificiale di radiazioni UV.

L’SPF di un prodotto solare consiste infatti nel rapporto tra la dose minima di radiazioni che provoca eritema (MED) sulla pelle protetta dal prodotto e la dose minima che lo provoca invece sulla pelle non protetta dello stesso soggetto. La risposta eritematosa, che si manifesta con l’arrossamento della pelle ed è una reazione infiammatoria indotta dalle radiazioni, viene accertata 16-24 ore dopo l’esposizione alla sorgente UV.

Ma l’Airc giustamente si chiede:

È eticamente accettabile che, per sapere se una crema solare funziona, si provochi per esempio un eritema a qualcuno? Esistono delle alternative?

Tra l’altro, come sottolinea un articolo pubblicato su Trends in Analytical Chemistry:

Bisogna sottolineare che, dal momento che si impiegano più soggetti con diversi tipi di pelle, test eseguiti in centri differenti raramente restituiscono lo stesso SPF, il che fa sorgere dei dubbi sulla riproducibilità di queste misure.

Le alternative esistono e sono rappresentate ad esempio da test ibridi, in cui si utilizzano sempre volontari per verificare l’efficacia della protezione ma non si aspetta la comparsa di eritema, si misura invece attraverso uno strumento la radiazione riflessa dal filtro solare. Un metodo che però non basta ad evitare tutti i rischi ai volontari.

Si stanno studiando anche test “in vitro”, ossia test di laboratorio su pelle umana artificiale. Ma non è un’impresa facile realizzare un materiale che sia in grado di riprodurre fedelmente cosa accade alla pelle esposta ai raggi UV.

Ulteriore possibilità è lo studio in silico, dove:

si effettuano simulazioni al computer per stimare il valore di SPF sulla base degli ingredienti del prodotto solare e dei loro spettri UV. Un grosso limite di questo tipo di test è dato dal fatto che la composizione precisa del prodotto è nota solo al produttore, e numerosi eccipienti possono influenzare non poco i risultati.

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Fonte:  AIRC

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