“Perché c’è un bambino nella pancia della mamma?”, 5 consigli utili su come comportarsi di fronte ai “perché?” dei più piccoli

Le continue domande dei bambini non nascono solo dalla necessità di imparare qualcosa di nuovo a livello cognitivo, ma spesso sono generate anche da un bisogno di attenzione e rassicurazione. Ecco come (e perché) rispondere ai loro continui “perché?”

Perché il colore della mia pelle è diverso dal suo? Perché i maschi sono diversi dalle femmine? Perché c’è un bambino nella pancia della mamma? Perché due uomini si baciano? Perché si muore? Queste sono solo alcune delle “grandi domande” dei più piccoli che gli adulti si trovano ad affrontare ogni giorno. Ecco come affrontarle.

Per rispondere in modo semplice, ma senza mentire o usare scorciatoie QUID+, la linea editoriale educativa firmata da Gribaudo ha ideato “Ma perché?”, un libro nato per dare ai genitori strumenti utili e consigli preziosi per rispondere in modo efficace ai tanti “perché” del proprio bambino. 27 storie dedicate alle domande tipiche dei più piccoli e descrivono episodi di vita quotidiana in cui i bimbi possono facilmente identificarsi.

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Ma come dare le risposte più appropriate? Chiara Bosia, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e consulente scientifica, ci fornisce 5 consigli utili:

Non fingere di non aver sentito

Spesso un “perché” è accompagnato da un’altra serie di domande per approfondire la situazione e la continua richiesta di informazioni può portare il genitore a stancarsi di rispondere e, a volte, a fingere di non aver sentito. Questo atteggiamento rischia di generare uno stato di insicurezza e di accentuare il bisogno di attenzioni. Se quando viene posta la domanda non c’è il tempo necessario per rispondere adeguatamente, si può rimandare ad un altro momento della giornata, ma è importante ricordare chedobbiamo validare il “perché” e far sentire il bambino ascoltato e accolto con una spiegazione il più possibile chiara e concreta. Attraverso i “perché” il bambino crea una propria visione del mondo ed è quindi essenziale aiutarlo in questo percorso.

Non cambiare argomento per indirizzare l’attenzione su altro

Quando una domanda viene ignorata o elusa, il piccolo, non percependo la presenza e l’affidabilità della figura adulta, sarà portato a credere di doversela cavare da solo nei momenti di difficoltà. Pertanto, è giusto affrontare anche le domande più difficili con sincerità, in quanto l’essere evasivo del genitore porterebbe il bambino a pensare che non vale la pena essere curiosi. Se siamo stati colti alla sprovvista e non ci sentiamo pronti a rispondere nell’immediato, possiamo spiegare al bambino che la sua domanda è molto importante e che abbiamo bisogno di tempo per pensare alla risposta migliore da dargli. Il genitore può anche rispondere con un “non lo so” e proporre di cercare la risposta insieme. Coinvolgere i più piccoli, formulando a nostra volta delle domande rivolte a loro, permette di allenarsi ad approfondire la realtà delle cose in ogni aspetto possibile, sviluppando il proprio senso critico e di empatia nei confronti degli altri, che possono avere un diverso colore di pelle, gender o orientamento sessuale.

Non dire “te lo spiegherò quando sarai più grande”

La curiosità dei bambini è limpida e senza alcuna malizia o pregiudizio, contrariamente a quanto accade a noi adulti che proviamo disagio e inadeguatezza di fronte a certe domande. I loro “perché” nascono da sensazioni che provocano loro emozioni e quesiti che sentono di non essere in grado di gestire da soli. Rimandare la spiegazione a un momento indefinito di un lontano futuro sminuisce il valore della domanda stessa e fa percepire al piccolo come sbagliata la propria richiesta.

Non dire “quando mamma e papà si baciano la mamma resta incinta e nasce un bimbo”

Dare risposte fuorvianti può contribuire alla formazione di una visione irrealistica del mondo circostante e causare una perdita di fiducia da parte del bambino nei confronti dei genitori, una volta scoperta la verità. Pertanto, è giusto affrontare anche le domande più difficili con sincerità, in quanto l’essere evasivo del genitore porterebbe il bambino a pensare che non vale la pena essere curiosi.

Non utilizzare l’ironia

I bambini iniziano a comprendere l’ironia solamente intorno ai 6 anni, quindi rispondere ironicamente non aiuterebbe di certo il piccolo a fare chiarezza sui suoi dubbi. Invece, è bene utilizzare parole semplici e dirette senza giri di parole o l’utilizzo di un linguaggio complesso con eccessivi dettagli: il bambino non ha bisogno di sapere niente di più di quello che ha chiesto, ma solo di poche e facili spiegazioni sincere.

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