La mamma mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Che avremmo ricominciato una nuova vita, senza fame, senza bombe, senza guerra. Ma si sbagliava. Questa è la mia storia. Mi chiamavo Mawda, avevo 2 anni e la polizia belga mi ha sparato in faccia
Mi chiamavo Mawda, avevo 2 anni e la polizia belga mi ha sparato in faccia.
Hanno aperto il fuoco su un furgone che trasportava me, mia mamma, mio papà e il mio fratellino, insieme ad altri migranti.
Le autorità inizialmente hanno negato la vera causa della mia morte, suggerendo invece che ero malata o che la colpa era della guida pericolosa.
Eravamo su un’autostrada vicino alla città di Mons. Alla guida c’erano i trafficanti di esseri umani, che stavano cercando di portarci di contrabbando nel Regno Unito.
Eravamo fuggiti dal Kurdistan iracheno e da poco eravamo stati deportati dalle autorità di Bruxelles in Germania.
Così, stavamo scappando. Ancora.
Ma la polizia ci ha visto, il trafficante non si è fermato e i poliziotti hanno aperto il fuoco.
Così un proiettile mi ha ucciso, colpendomi la guancia (lo dice anche l’autopsia).
La mamma mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Che avremmo ricominciato una nuova vita, senza fame, senza bombe, senza guerra.
Ma si sbagliava.
Questa è la mia storia. Mi chiamavo Mawda, avevo 2 anni e la polizia belga mi ha sparato in faccia.
Chiedevo solo di vivere. Ma è stato impossibile. Perché la guerra non è solo lì fuori. È anche in molti cuori.
Roberta Ragni