Un nuovo studio dell’Università di Yale dimostra che l’ADHD non è solo una sindrome comportamentale ma un vero e proprio disturbo neurologico che necessita di diagnosi maggiormente oggettive
L’ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, è uno dei disturbi dello sviluppo neurologico più comune nell’infanzia: colpisce infatti oltre 6 milioni di bambini americani di età compresa tra i 3 e i 17 anni, stando ai dati del Centers for Disease Control and Prevention
I bambini con questo disturbo hanno difficoltà a mantenere la concentrazione, a controllare eventuali comportamenti impulsivi e ad essere iperattivi. Per questi bimbi l’intervento tempestivo è fondamentale, ma le diagnosi in genere si basano su questionari e osservazioni del comportamento del bambino che sono soggettive e possono portare a risultati erronei e ritardi nel trattamento.
La soggettività delle valutazioni dell’ADHD può far sì che i bambini vengano diagnosticati erroneamente o rimangano non diagnosticati – ha spiegato Huang Lin, ricercatore presso la Yale School of Medicine e autore principale dello studio – I questionari dati al genitore o a chi si prende cura di un bambino possono essere influenzati, ad esempio, da eventi della vita o dallo stress. I questionari richiedono anche che gli operatori sanitari abbiano trascorso una quantità sufficiente di tempo con il bambino, il che significa che i bambini con cure meno stabili potrebbero non essere diagnosticati. E quando le persone invecchiano, tendono a mostrare sintomi diversi, rendendo la diagnosi più difficile negli individui più anziani. Quando le persone invecchiano, l’aspetto dell’iperattività del disturbo diminuisce”, ha detto Lin. “Ciò può rendere più difficile la diagnosi osservazionale e, senza una diagnosi, le persone con ADHD possono presumere che ciò che stanno vivendo sia standard”
Per questo motivo diventa indispensabile affidarsi ad un metodo di valutazione più obiettivo e un passo quasi rivoluzionario in questa direzione è stato fatto dai ricercatori dell’Università di Yale che, attraverso l’analisi degli esami MRI su quasi 8000 bambini, sono riusciti a identificare i biomarcatori neurologici specifici dell’ADHD. Per farlo hanno utilizzato i dati della risonanza magnetica dello studio Adolescent Brain Cognitive Development (ABCD, il più grande studio sullo sviluppo e la salute del cervello dei bambini negli Stati Uniti).
Lo studio ha coinvolto oltre 11,000 bambini di età compresa tra i 9 e i 10 anni, provenienti da tutto il Paese.
Dopo varie esclusioni, il gruppo di studio era ridotto a 7000 pazienti circa; di questi, 1789 con diagnosi di ADHD tutti sottoposti a diversi esami: risonanza magnetica strutturale, imaging del tensore di diffusione e risonanza magnetica a riposo. Lo studio ha contemplato l’analisi strutturale e funzionale del cervello per osservarne eventuali danni, considerando diversi parametri come il volume, la superficie, l’integrità della materia bianca e la connettività funzionale.
È stato visto che nei pazienti con ADHD la connettività risultava anomala nelle reti cerebrali coinvolte nell’elaborazione della memoria e nell’elaborazione uditiva; era un evidente assottigliamento della corteccia e cambiamenti microstrutturali della materia bianca, in particolar modo al livello del lobo frontale, coinvolto nel controllo dell’impulsività e dell’attenzione. In più i bambini con ADHD presentano un volume corticale inferiore soprattutto nei lobi temporali e frontali. Anche le reti cerebrali relative all’elaborazione della memoria, all’attenzione e all’elaborazione uditiva erano diverse nei bambini con ADHD.
Mi aspettavo che alcune regioni del cervello si distinguessero. Ma abbiamo visto un cambiamento più generale in tutto il cervello”, ha detto Lin
Lo studio in conclusione dimostra che l’ADHD non è solo una sindrome comportamentale, bensì si tratta di un vero e proprio disturbo neurologico con manifestazioni neurostrutturali e funzionali del cervello. Come ha dichiarato Sam Payabvash tra gli autori dello studio:
Se misurassi la pressione sanguigna di qualcuno e trovassi che era alta, nessuno metterebbe in dubbio che fosse una condizione che dovrebbe essere affrontata. Ma molte persone mettono in dubbio le diagnosi di malattia mentale”, ha detto Lin. “Essere in grado di misurarlo come possiamo la pressione sanguigna potrebbe aiutare ad affrontare questo stigma.
I risultati della ricerca che potrebbe davvero rivoluzionare la diagnosi dell’ADHD verranno illustrati nel dettaglio alla riunione annuale della Radiological Society of North America che si terrà il 27 novembre prossimi
Fonte: RSNA/ Yale University
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