Mentre gli altri Paesi indicono conferenze stampa per i bambini, da noi… neanche vengono nominati

Il risultato dell’infausto confronto con gli altri Paesi è sotto gli occhi dei più accorti: i bambini nelle intenzioni dei nostri politici non ci sono.

Al di là del rinnovo del congedo parentale e dell’estensione del bonus baby sitter, il nuovo DPCM non affronta il problema dei bambini. Non è possibile affidarli nelle mani dei nonni. Le scuole sono chiuse. Chi li custodisce adesso che i genitori riprenderanno a lavorare? E quali saranno le conseguenze di una reclusione così lunga?

Commercio all’ingrosso? C’è. Attività motoria? C’è. Funerali? Pure. Anche l’asporto e i cantieri, Deo gratias. E i bambini? Ah, già, i bambini! Dunque, fammi rileggere… no, che cosa debbano fare pupi mucolitici in tenera età in questo periodo sospeso non c’è traccia. Al nuovo intervento in diretta di domenica sera del Premier i grandi assenti sono loro, con tutto il cucuzzaro di genitori, zii, nonni e tutte le discendenze in verticale che subiranno ulteriormente i danni di questa fase due che tanto due non è.

E, consentitecelo, il parallelo con gli altri Paesi scatta a una velocità pari a quella di un embolo e il risultato dell’infausto confronto è sotto gli occhi dei più accorti: i bambini non ci sono. E la sensazione è che si stia lasciando una generazione sospesa.

Vero è che, volendo scomodare l’Istat, il numero medio di figli per donna è di 1,29 e che il ricambio naturale della popolazione è praticamente compromesso (ci sono più anziani che creature), ma i bimbi esistono ed è da fine febbraio che famiglie con figli a seguito vivono in un autentico limbo, fatto di proclami strozzati e frasi a metà, di “sì, ci stiamo lavorando” e di (buone?) intenzioni finite nell’oblio.

Il punto è questo. Rileggendo le 21 pagine del nuovo Dpcm (fatta esclusione degli allegati) firmato ieri sera da Conte gli unici punti dai quali si evince un più che sottointeso riferimento ai giovanissimi sono le lettere f, k ed m dell’articolo 1. La prima esclude qualsiasi “attività ludica o ricreativa all’aperto” e consente, con un accompagnatore per i minori e i disabili, attività sportiva o motoria negli spazi esterni, purché con le dovute distanze; la lettera k ribadisce la chiusura delle scuole e la lettera m dice che i dirigenti scolastici devono attivare la tanto famigerata didattica a distanza.

Stop. Dopo ci si perde nel mare magnum di permessi, attività produttive concesse e non concesse, di misure di prevenzione e si parla finanche di navi da crociera.

QUI trovate il DPCM completo.

Ma come debbano raccapezzarsi le famiglie, cosa debbano pensare i nostri figli, come loro si sentano in questa barca scordata, come debbano pensare anche a lungo termine i genitori che ora non lavorano, che lavoreranno a scuole ancora chiuse, che avranno un solo reddito, che non sanno dove mettere le pezze, no, quello niente.

Alla domanda di un giornalista durante la conferenza stampa di ieri sera su cosa accadrà nel momento in cui i genitori dovranno tornare al lavoro, dato che la scuola rimarrà chiusa poiché “non si può rischiare una nuova diffusione”, il Presidente del Consiglio si è limitato a dire che saranno prolungati congedi parentali e bonus baby sitter, senza scendere nel problema vero e proprio.

Così come è rimasto molto sul vago sui reali interventi su scuola e università, ribadendo soltanto i “grandi sforzi del governo” e che la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina “sta lavorando incessantemente, con il continuo consulto del comitato scientifico, per far ripartire tutto da settembre”.

Ma se la scuola non riapre a settembre, o non riapre per tutti, c’è un piano B, signor Presidente? E, intanto, signor Presidente, ha pensato che questa “didattica a distanza” fa acqua da tutte le parti? E ha pensato che, mamme e papà in smart working a casa (quando un lavoro ce l’hanno) sono presi dai turchi al solo pensiero di assistere i pargoli mentre leggono delle Guerre Puniche?

In molte case non c’è tempo, o, peggio ancora, non ci sono competenze e non ci sono gli strumenti (e penso al più remoto dei computer).

La verità è che, caro Presidente, le mamme e i papà vorrebbero tanto sentirsela dire una parolina empatica. Non sono sufficienti bonus risicati e congedi parentali a metà. Non sono più accettabili, a chiusura delle scuole che si confonde ormai nella notte dei tempi, parole non dette o discorsi glissati.

Un po’ ci piacerebbe sapere che la politica non sia così astratta, che attraverso quello schermo anche i nostri figli abbiano una parola rivolta a loro. “Come state bimbi? Credeteci davvero, qui i grandi stanno lavorando perché veramente vada tutto bene”.

Non ci vuole molto, signor Presidente, perché questo sforzo politico abbia una direzione anche verso i più piccoli, che strizzi loro l’occhio, che li faccia sentire colonna portante di questo Paese. Sono loro il nostro futuro, e loro devono credere di poter contare sulle Istituzioni.

Prediamo a prestito, magari, l’esperienza di altri Paesi. Mutuiamo il senso pratico di altri(e) Premier, il loro dolce rivolgersi ai bambini. Già ci aveva stregato la prima ministra neozelandese quando a Pasqua aveva dichiarato che certamente il coniglietto pasquale continuava a lavorare in tempo di pandemia:

Ora, mettiamo un altro esempio a caso: in Finlandia la prima ministra Marin e la ministra della scienza e della cultura Hanna Korhonen hanno risposto in prima persona alle domande poste dai bambini dai 7 ai 12 anni. Le domande dei bambini erano eccellenti e le loro preoccupazioni reali:
“Quando possiamo tornare a scuola?”
“Possiamo andare a nuotare in estate?”
“Cosa succederà con il nostro festival di primavera?”
“Quando incontreremo i nostri nonni?”
“La situazione in Finlandia è buona?”
“È giusto che a distanza alcuni bambini possano dormire più a lungo di altri?”

https://www.facebook.com/annareetta.korhonen/posts/10158028783880977

Così come anche in Norvegia, la prima ministra norvegese, Erna Solberg, ha avuto l’idea di usare la televisione per parlare direttamente con i bambini del suo Paese, tenendo una conferenza stampa dedicata a loro. Ha risposto alle domande dei bimbi provenienti da tutta la Norvegia:

Non è una questione stucchevole, né si parla di arrendevolezza, né qui si chiede di fare discorsi melensi. Da un lato, le famiglie, gli adulti, hanno bisogno di sapere che esistono misure pratiche su cui contare a lungo/lunghissimo termine, dall’altro i bambini stanno vivendo una situazione paradossale e vivranno altri disagi se i propri genitori non avranno da mettere il pane in tavola (e allora sì che resteranno traumatizzati).

Un impegno differente può passare anche attraverso parole semplici rivolte proprio ai più piccoli al momento opportuno.

Fonti: DPCM / Istat

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