Ci sono delle storie che nessuno vorrebbe mai raccontare, sono tutti quegli episodi che irrompono nella tua vita allontanandoti per sempre dalla tranquillità delle quattro mura domestiche.
Ci sono delle storie che nessuno vorrebbe mai raccontare, sono tutti quegli episodi che irrompono nella tua vita allontanandoti per sempre dalla tranquillità delle quattro mura domestiche.
Sono quelle storie fugaci che riesci a leggere attraverso gli occhi dei bambini che fuggono da soli dal proprio paese in guerra, che lasciano la disperazione e la fame per inseguire un sogno fatto di normalità, di giocattoli, di campetti da calcio in cui correre spensierati. Tutte cose che probabilmente finora non hanno mai fatto.
A Reggio Calabria è stato un weekend di fuoco: due sbarchi in poco meno di tre giorni. Tra i tanti disperati eritrei, sudanesi, siriani, egiziani e iracheni arrivati all’alba al porto, ci sono anche tantissimi bambini che a 8 anni hanno già attraversato il deserto e il Mediterraneo lontani dai loro genitori e dai loro fratelli, lontano da chi tra le lacrime li ha imbarcati su quel gommone consapevole forse di non rivederli mai più.
Nei loro occhi, un dramma senza fine. Mentre sono in fila per l’identificazione hanno ancora la forza di ridere e di sostenersi a vicenda. Sono perfetti sconosciuti, con i vestiti sudici, con a piedi le infradito che aspettano sotto il sole il proprio turno.
“Settecentoquarantadue per oggi, tu sei the last”. L’ultimo è proprio Samir (nome di fantasia), un bambino in maglietta rossa e pantaloni di due taglie più piccole. È uno dei 78 migranti minorenni, tra cui tante ragazze, arrivati da soli con addosso solo gli indumenti. Solo il giorno prima, altri 40 bambini e ragazzi dagli 8 ai 17 anni erano stati spostati al Centro di prima accoglienza di un quartiere della periferia reggina.
Solo qualche tempo fa, vi avevamo parlato della
neonata arrivata a Lampedusa, per lei si era messa in moto una vera e propria gara di solidarietà. Ma la sua storia è uguale a quella di
altri 6mila bambini che dall’inizio del 2016 hanno toccato da soli terra italiana. Numeri incredibili e puliti dai morti e i dispersi in mare, da quelli fuggiti e da quelli scomparsi.
A preoccupare adesso è proprio la collocazione di questi minori non accompagnati. Il sud Italia ha raggiunto la capienza massima in ogni Centro di prima accoglienza, c’è la necessità di pensare a nuove strutture, c’è soprattutto il bisogno che ogni Stato si assuma delle responsabilità, ma che ancor prima la si finisca di trovare misure palliative e si persegua una politica comunitaria di immigrazione.
Quale sarà il futuro di questi bambini traumatizzati, spesso vittime di violenza, privati dalla loro infanzia?
Foto: Marco Costantino per greenMe.it
La storia. Amir (nome di fantasia) tutto sommato è una bambina quasi fortunata, lei in Italia è arrivata con la sua mamma, il fratellino, i cuginetti e lo zio. Dopo un viaggio estenuante su un gommone, al porto di Reggio Calabria ride, gioca, corre. È finalmente una bambina che si comporta da bambina.
Amina (nome di fantasia) sta seduta a terra, sminuzza le patatine fritte in tanti pezzettini e le mangia pian piano con il coltello. Dopo un po’ ti viene incontro, vuole stare in braccio, ti accarezza i capelli e ti bacia sulla guancia. Ti parla in arabo, piange, non ti molla più.
I fratellini giocano con i palloni gonfiabili regalati da volontari del Coordinamento Ecclesiale Diocesano di Reggio Calabria e dalla Protezione civile. Si attende sotto il tendone l’identificazione, il proprio numero, e di sapere cosa è stato deciso per il loro futuro.
Amir è il numero 488. Sua mamma ieri notte ha partorito la sua sorellina in Calabria, per qualche settimana rimarranno in un piccolo comune del reggino, dopo comincerà l’ennesima avventura, speriamo questa volta senza il bisogno di salire in un gommone.
Testi e Foto: Dominella Trunfio