Una videocamera in mano e una guerra da raccontare: è questa la quotidianità di Janna Jihad Ayyad, una bimba di appena dieci anni che, anziché giocare e dedicarsi ai passatempi che dovrebbero essere tipici della sua età, da tre anni realizza dei video per documentare sui social media la difficile realtà quotidiana della sua terra, la Palestina.
Janna è la più giovane reporter palestinese, e una delle più giovani del mondo, ed è seguitissima sui social: basti pensare che la sua pagina Facebook conta quasi centomila like ed è popolatissima di commenti. Il suo sogno è di poter studiare giornalismo ad Harvard, per poi lavorare per emittenti di fama globale, come CNN e Fox News, con l’obiettivo di dare voce alla sua gente, “cambiando il modo in cui il conflitto israelo-palestinese viene raccontato“.
I suoi video, infatti, girati con l’iPhone della mamma in inglese e arabo, vogliono mostrare la cruda realtà di una guerra quotidiana: è questo lo spettacolo a cui Janna, che vive a Nabi Saleh, un piccolo villaggio della Cisgiordania in cui scontri e violenze sono all’ordine del giorno, assiste sin da piccolissima. Una realtà che l’ha fatta crescere fin troppo in fretta, strappandola precocemente all’infanzia, al gioco e alla spensieratezza.
Non a caso, secondo quanto raccontato da sua madre Nawal Tamimi ad Al Jazera, la sua passione per video e reportage è nata dopo una serie di episodi tragici: prima la morte di un amico di infanzia, poi di un cugino e, infine, di uno zio, tutti uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano. Eventi che l’hanno segnata profondamente e che l’hanno spinta sulla via dell’attivismo, portandola a prendere parte a marce e manifestazioni di protesta contro l’occupazione e l’espropriazione delle terre e a documentare le violenze perpetrate ai danni della popolazione palestinese.
Negli ultimi mesi, la fama raggiunta dai suoi video l’ha spinta ad ampliare il suo raggio di azione e a viaggiare spesso con sua madre per filmare quanto accade in altre zone e città della Palestina, sempre con l’obiettivo di dare voce al suo popolo. Rispetto ad un giornalista adulto, Janna racconta di avere l’enorme vantaggio di non essere facilmente individuabile e riconoscibile e di poter filmare più liberamente, senza rischiare che la sua videocamera venga confiscata dai soldati.
Sua madre Nawal si dice orgogliosa di lei e del suo lavoro, ma è anche preoccupata per il suo futuro e per la sua incolumità. D’altra parte, Janna proviene da una famiglia con una lunghissima storia di attivismo alle spalle e un suo zio, Bilal Tamimi, è un fotografo che da anni documenta le sofferenze della popolazione di Nabi Saleh.
Guardando i lavori di Janna e toccando con mano il suo talento nel raccontare e documentare, si rischia di dimenticare che li ha realizzati una bambina. Ed è questo, forse, l’aspetto che più dovrebbe farci riflettere, perché ogni bambino dovrebbe avere il sacrosanto diritto di vivere con pienezza e spensieratezza la propria infanzia e non essere mai costretto ad assistere agli orrori di una guerrra.
Photo Credits: Janna Jihad
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