Il loro crimine? Essere bambini invisibili, ovvero apolidi. E’ per questo motivo che vengono inseguiti e perseguitati dalla polizia
“Quando vediamo il camion della polizia corriamo a nasconderci dietro le barche”. Maslina Madsail sembra più piccola dei suoi undici anni, ma riesce a correre velocemente anche se scalza.
A Sabah, sull’isola del Borneo in Malesia migliaia di bambini giocano a un gioco molto pericoloso, quello del gatto e del topo con le autorità di polizia del luogo.
Il loro crimine? Essere quelli che l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, chiama bambini invisibili ovvero apolidi, persone senza cittadinanza che ufficialmente per lo Stato non esistono.
Sono in questo caso, tutti i figli dei migranti filippini, indonesiani o appartenenti alle tribù nomadi che pur essendo nati e cresciuti in Malesia, non sono riconosciuti come cittadini ma ereditano l’apolidia dai loro genitori. È per questo motivo che vengono inseguiti dalla polizia locale.
LEGGI anche: SAMIR, NUMERO 742. IL DRAMMA DEI BAMBINI SOLI SBARCATI A REGGIO CALABRIA (FOTO)
I Bajau Laut, gli zingari apolidi del mare, vivono al largo della costa del Borneo e passano la maggior parte della loro giornata in acqua, mangiando e dormendo su palafitte di legno.
Secondo le organizzazioni non governative asiatiche i bambini invisibili in Malesia sono 50mila. I loro genitori spesso entrano illegalmente nel Paese e lavorano in nero, costituendo la forza lavoro principale della regione, soprattutto nella raccolta nelle piantagioni di olio palma. Tutti sanno che ci sono eppure per la legge non esistono. Non registrano né matrimoni, né nascite per paura di essere arrestati. Automaticamente i loro figli non possono frequentare le scuole pubbliche e non hanno diritto all’assistenza sanitaria.
“I bambini sono abituati sin da piccolissimi a scappare. Le autorità effettuano controlli periodici, se malauguratamente vengono presi finiscono in centri di detenzione”, spiega Flora Yohanes, un insegnante in una scuola gestita da una ONG malese di Sabah.
Non avendo accesso all’istruzione pubblica, i bambini senza documenti e senza cittadinanza, frequentano le scuole gestite dalle ong. Questo è una garanzia anche per la loro sicurezza: sia la Malesia che l’Indonesia hanno, infatti, firmato un accordo secondo cui i bambini non possono essere arrestati mentre sono in classe. Il rischio però rimane per tutte le altre ore del giorno e della notte. E questo li spinge a fuggire e nascondersi anche per intere settimane.
“Quando ci sono le ispezioni della polizia può capitare che i bambini non frequentino la scuola, perché neanche questo edificio riesce a placare la paura”, dice Yohanes.
I suoi studenti sono circa un’ottantina, hanno un’età compresa tra i 7 e 12 anni, quasi tutti sono indonesiani. “A volte quando sappiano che qualcuno dei nostri piccoli studenti viene arrestato non riusciamo a dormire pensando a quale sarà il suo futuro. Non solo, i bambini sono così disperati che preferiscono passare la notte dormendo da soli nella foresta piuttosto che essere trovati dalle autorità”.
Sfidano la morte perché temono di più la prigionia. “In alcuni casi noi insegnanti siamo in grado di aiutarli e di farli rilasciare ma succede solo in pochissimi casi. Eludere i controlli può portare gravissime conseguenze”, continua l’insegnante.
L’anno scorso, tre fratelli adolescenti sono morti. Si nascondevano al mercato del pesce di Lahad Datu, i loro genitori erano arrivati negli anni Settanta a Sabah fuggendo dalla guerra civile filippina. I loro dieci figli sono nati tutti in Malesia, ma di fatto non sono mai stati cittadini malesiani.
La loro madre, Erma Mandingo, racconta la sua terribile esperienza: “Sarebbe meglio che fossi morta anch’io”. Secondo le autorità, i bambini si erano gettati in acqua per non essere trovati e sono annegati. Diversa la testimonianza di alcuni abitanti del luogo, secondo cui sarebbe stata proprio la polizia a causarne la morte, spruzzando gas tossici sui ragazzi. una versione che ovviamente è stata smentita dalle autorità.
Abdul Rashid Harun, a capo del Comando di sicurezza orientale di Sabah, spiega:
“Effettuiamo controlli giornalieri per rintracciare migranti irregolari e i loro figli. Lo scorso anno sono stati rimpatriate 180mila persone”.
Secondo il comandante, i migranti irregolari sono artefici di crimini tra cui il contrabbando di armi. Gli stessi cittadini malesi non vedono di buon occhio i bambini invisibili. “Sono ignoranti e molti di loro si trasformano in tossicodipendenti e, per alimentare la loro dipendenza, rubano”.
Cosa significa nascere e crescere senza stato? Lo sa bene il trentasettenne Jerry Abbas. Suo padre è Bajau e sua madre malese, ma non hanno mai registrato la sua nascita. È riuscito finalmente a diventare un ex bambino invisibile solo 5 anni fa. “Questo documento è la mia vita”. Oggi fa l’insegnante in una scuola di fortuna per bambini Bajau e non è più uno zingaro del mare, ma il ricordo del suo passato è vivo in lui.
“I bambini invisibili crescono nella povertà, sniffano la colla per evitare la fame, chiedono l’elemosina e cercano il cibo nella spazzatura”.
Non hanno molta via d’uscita questi bambini apolidi, il loro futuro è già scritto. Ma hanno comunque tanta speranza. Come Maslina, che frequenta la scuola dell’ong e vende i sacchetti di plastica al mercato per aiutare la sua numerosa famiglia di 26 persone. Spera di diventare un ufficiale dell’immigrazione per dare i documenti alla sua famiglia e uscire dalla loro condizione di invisibilità.
Dominella Trunfio
Fonte: Al Jazeera