Shahr-i Sokhta, la Pompei d’Oriente. La storia del sito Unesco in Iran bruciato 3 volte (ora in mostra a Lecce)

Scopriamo il sito di Shahr-i Sokhat, la "Pompei d'Oriente" che si trova in Iran

Dieci anni fa l’UNESCO ha inserito nella lista dei Patrimoni mondiali da preservare il sito archeologico di Shahr-i Sokhta, la città iraniana definita come la Pompei d’Oriente perché bruciata tre volte nel corso della sua lunga storia, durata tra i dodici e i tredici secoli.

La storia e le origini di Shahr-i Sokhta, la Pompei d’Oriente

Il sito di Shahr-i Sokhta, che in persiano significa “città bruciata”, si trova nel Sistan-va-Baluchistan, nell’Iran orientale, al confine con Pakistan e Afghanistan, in una zona perlopiù desertica, con una superficie approssimativamente equivalente a quella della Siria, ma meno popolosa.
Shahr-i Sokhta fu uno dei più antichi centri urbani dell’Altopiano Iranico, si sviluppò dal 3200 al 2450/2350 a.C. circa quando l’abitato si ridusse drasticamente e in breve tempo fu abbandonato.

La città era un fiorente centro di commercio e agricoltura, culla di un mosaico culturale composto dalle quattro grandi civiltà fluviali: Oxus, Indo, Tigri-Eufrate e Halil.
Si tratta di uno dei centri più ambiti per l’indagine archeologica, per la sua perfetta conservazione a causa di concrezioni saline presenti su tutta la superficie che hanno sigillato reperti e strutture del sottosuolo, ecco perché il richiamo Pompei. Nel caso della città campana però sono state la lava e la cenere del Vesuvio a cristallizzare e mantenere nei secoli corpi e oggetti.

Gli scavi archeologici di Shahr-i Sokhat

Shahr-i Sokhta

@Wikimedia

Il sito di Shahr-i Sokhta è stato scavato dal 1967 al 1978 da una missione archeologica italiana di quello che era l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, diretta da Maurizio Tosi. Con un accordo culturale con l’Iran, stipulato sotto la direzione di Domenico Faccenna, il Museo Nazionale d’Arte Orientale ha ottenuto di poter conservare una parte dei materiali dello scavo di Shahr-i Sokhta.
Dopo un lungo periodo in cui il sito fu scavato dall’archeologo iraniano Mansur Sajjadi, la collaborazione tra archeologi iraniani e italiani è ripresa nel 2016 con il nuovo progetto dell’Università del Salento, diretto da Enrico Ascalone.

I ritrovamenti di Shahr-i Sokhta, comprendono grande quantità di ceramica, oggetti metallici, manufatti in legno e perfino tessuti, che insieme ai legni, sono stati trovati in un eccezionale stato di conservazione per materiali così deperibili, grazie alla grande aridità del terreno. Sono stati inoltre rinvenuti semi di piante e numerose ossa di animali.
Nelle botteghe degli artigiani che lavoravano le pietre semipreziose sono stati ritrovati utensili, materiali grezzi, schegge, prodotti semilavorati e prodotti finiti e si sono potute individuare le diverse e successive fasi della lavorazione, che si differenziava a seconda del tipo di pietra.

Le foto di Shahr-i Sokhat in una mostra a Lecce

Come sempre l’arte e l’estro riescono a farci viaggiare attraverso i luoghi e il tempo, alla scoperta di mondi lontani. Infatti le ultime scoperte archeologiche hanno dato il via a nuove rappresentazioni artistiche, come il percorso fotografico che è stato allestito nella mostra di Lecce.

Con 141 foto e pannelli esplicativi, la mostra ripercorre in anteprima italiana le tappe degli studi condotti sul sito UNESCO, come il ritrovamento di una tavoletta proto-elamica con indicazioni contabili datata al 3000 a.C., che testimonia le complesse attività amministrative della città.

La mostra fotografica dal titolo Shahr-i Sokhta. Quando il mito diventa storia è aperta fino al 28 luglio 2024 ed è ospitata dal Monastero degli Olivetani di Lecce.

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