Immaginate un mondo senza pesci. Ora immaginate di svegliarvi nel 2048. Ecco è lì, in quel futuro apparentemente remoto che si colloca “the end of the line”, ovvero il capolinea, il punto di non ritorno. E’ quella, la soglia temporale entro la quale, secondo alcuni scienziati, non ci saranno più pesci negli oceani se l'uomo continuerà a pescarli in modo sconsiderato.
Immaginate un mondo senza pesci. Ora immaginate di svegliarvi nel 2048. Ecco è lì, in quel futuro apparentemente remoto che si colloca “the end of the line”, ovvero il capolinea, il punto di non ritorno. È quella, la soglia temporale entro la quale, secondo alcuni scienziati, non ci saranno più pesci negli oceani se l’uomo continuerà a pescarli in modo sconsiderato.
Nel 2009, al Sundance Film Festival prima e al Festival del Cinema di Roma poi, venne presentato un film apocalittico eppure fortemente argomentato. Il titolo era appunto “The End of The Line”. Il film di Rupert Murray, prodotto con il supporto del WWF, raccontava un’altra scomoda verità sull’ambiente.
L’impatto dell’uomo occidentale non si traduce soltanto in piogge acide e biodiversità minacciate, ma anche nel rischio che certe specie ittiche si estinguano completamente, a fronte di metodologie di pesca scriteriate e di un consumo insostenibile. È ponendo l’attenzione su questo fronte del pericolo che Robert Murray ha raccolto l’attenzione di critica e pubblico in giro per il mondo.
Oggi, il documentario arriva anche in Italia dopo aver trovato distribuzione in Inghilterra, Stati Uniti e Spagna e viene pubblicato da Feltrinelli nella collana Real Cinema in collaborazione con Slow Food.
Il film trae spunto dall’omonimo libro del giornalista inglese Charles Clover (uscito in Italia con il titolo di “Allarme pesce”, Ponte nelle Grazie) e illustra i devastanti effetti che la pesca intensiva provoca sull’ecosistema dei nostri mari. Il regista Rupert Murray, viaggiando tra Cina, Regno Unito, Gibilterra, Malta, Senegal e Giappone, mette a nudo da vicino le iniquità compiute ai danni della fauna marina. Le innovative tecniche di pesca comportano una minaccia per molte specie ed è stato calcolato che, andando avanti di questo passo, entro il 2050 non ci sarà più nulla da pescare.
Una posizione, quella di Murray, giudicata da alcuni apocalittica, a cui il regista ribatte affermando che, Al Capolinea – The End of the Line, non è contro la pesca o contro chi si nutre di specie ittiche, ma mette in risalto la necessità di una gestione sostenibile delle nostre risorse. Quali sono le tecniche di pesca oggi più utilizzate? Chi consuma tutto questo pesce? Come viene impiegato? Molte majors della ristorazione, interrogate su questi temi, non hanno voluto dare risposte; ma l’indagine del film, approfondita e robusta, cerca di investigare proprio dove il mistero si infittisce.
Al Capolinea – The End of the Line punta il dito contro i responsabili di questa devastazione: i consumatori, spesso acquirenti inconsapevoli o disattenti, i politici che ignorano gli avvisi che arrivano dagli scienziati, i pescatori che spesso pescano illegalmente. Il film fornisce anche delle indicazioni su potenziali vie d’uscita: la riduzione delle imbarcazioni da pesca e la creazione di riserve a largo degli oceani, e una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori. Non si tratta quindi solo di un film, ma di qualcosa di più: è una denuncia dei metodi neocolonialisti che i paesi occidentali utilizzano nei mari d’Africa, ad esempio; è una campagna per il consumo sostenibile del pesce; è un monito affinché le aree marine protette abbiano la possibilità di riprendersi.
I suoi estimatori lo hanno definito un vero e proprio manifesto per una nuova etica della pesca.
Al Capolinea fa parte di una recente tradizione di documentari attivisti che con ottimi mezzi e ritmi da classico movie riesce a tenere lo spettatore in sospeso e contemporaneamente a farlo riflettere: the Cove nel 2009 vinse l’Oscar per questo motivo.
Inoltre le modalità di finanziamento di cui si è avvalso Al Capolinea, testimoniano come stiano maturando modalità di supporto del cinema impegnato che non passano più attraverso le forche dei produttori e dei distributori ma attraverso il sostegno di fondazioni o di privati come Waitrose, una nota catena di negozi inglese che per Al Capolinea ha destinato un bel budget.
Anche il sito è un luogo di dialogo e attività continua che invita a prendere posizione: consigliando speciali guide ai ristoranti, predisponendo iniziative simboliche come quella che consente di decidere quali sia il pezzo di mare che si vorrebbe possedere oppure incitando a diffondere la voce.
La prossima volta che qualcuno dirà che il mare è pieno di pesci, dubitate.