"Avatar: La via dell’acqua" arriva nelle nostre sale il prossimo 14 dicembre, 13 anni dopo l’uscita della prima (incredibile) pellicola in 3D. Un sequel che già promette scintille, tenendo fermo un punto saldo: la metafora sul contatto, spesso disastroso e intriso di giochi di potere, tra culture diverse, tra colonialismo e sfruttamento forestale
Di colore blu e dai fisici possenti da far paura, chi ha solo superficialmente guardato Avatar nel 2010 non ha probabilmente compreso il messaggio che quegli “alieni” pensati da James Cameron in realtà volevano inviarci: quel popolo piange ed è disperato perché la loro foresta viene distrutta.
Esattamente come accade alle popolazioni indigene, reali, da decenni. Avatar è infatti questo: non superficiale, non stucchevole, ma l’urlo chiaro e preciso dei popoli indigeni del mondo.
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Nel film tre volte premio Oscar, Pandora è la casa dove vive una razza di alieni blu conosciuti come i Na’vi che si contraddistinguono per il loro rapporto intimo e viscerale con la natura. Gli uomini, in netto contrasto, arrivano con la volontà di avvantaggiarsi la loro energia per risolvere i problemi che loro stessi hanno creato sulla terra.
I Na’vi di Avatar piangono perché la loro foresta viene distrutta. È esattamente quello che accade anche a noi, racconta a Survival un Penan del Sarawak, la parte malese del Borneo. Le compagnie di disboscamento stanno tagliando i nostri grandi alberi e inquinano i nostri fiumi; anche gli animali che cacciamo stanno morendo… I Penan non possono sopravvivere senza la foresta. La foresta si prende cura di noi, e noi di lei. Noi capiamo le piante e gli animali perché abbiamo vissuto qui per molti, moltissimi anni, sin tal tempo dei nostri antenati.
Noi, i Boscimani, siamo i primi abitanti dell’Africa meridionale, ma ci è stato negato il diritto alla nostra terra. Ci appelliamo con tutto il cuore alla comunità internazionale perché ci aiuti. Sono contento che Avatar abbia tanto successo perché il film mostra al mondo cosa significa essere un Boscimane, e cosa significa, per noi, la nostra terra. La terra e i Boscimani sono una sola identica cosa, dice invece Jumanda Gakelebone, un Boscimane del Kalahari.
Da un lato, quindi, cercatori arroganti di terre, dall’altro popoli indigeni e i loro diritti. Avatar ci invita a costatare che è tutto interconnesso: proprio come i Na’vi descrivono la foresta di Pandora come “il loro tutto”, allo stesso modo, per la maggior parte dei popoli tribali del nostro pianeta vita e terra sono sempre state profondamente legate.
E sarà così anche con il nuovo attesissimo Avatar. Non solo androidi, lemuri variopinti o cavalli dalla lunga proboscide, la storia di Avatar è la stessa del nostro pianeta: come i Na’vi, anche gli ultimi popoli indigeni rimasti al mondo rischiano l’estinzione e assistono alla spoliazione delle loro terre a causa di colonizzazione e sfruttamento forestale e minerario.
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Fonte: Survival
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