L’emblematica “nebbia” nei quadri di Monet e di Turner in realtà era smog, lo studio che spazza via il velo di romanticismo

Lo studio ha analizzato i quadri di Monet e Turner con il passare degli anni, individuando la possibile causa di quella nebbia come smog da inquinamento dovuto alla Rivoluzione Industriale

I quadri di Claude Monet e William Turner sono l’emblema dell’impressionismo e del romanticismo, con quell’alone di nebbia che avvolge i paesaggi. Ma quella foschia era veramente nebbia? A chiederselo è stato uno studio portato avanti da Anna Lea Albright dell’Università della Sorbona e Peter Huybers di Harvard. E il risultato è stato scioccante: potrebbe essere in realtà smog.

Ma partiamo dall’inizio. Gli appassionati di arte sicuramente ricorderanno i tramonti e la natura protagonisti delle loro opere immortali. Con il passare del tempo tutto diventava via via meno nitido. Si è sempre pensato che ciò fosse da ricondurre al romanticismo, ma potrebbe esserci una spiegazione molto meno sentimentale.

Le opere permettono di tracciare una sorta di storia dell’inquinamento atmosferico

Monet e Turner avrebbero infatti “fotografato” su tela la foschia delle due metropoli Parigi e Londra semplicemente così com’era, senza dare il loro tocco artistico. Quella che hanno ritratto, dunque, potrebbe essere nebbia da inquinamento derivato dallo smog della Rivoluzione Industriale.

Albright e Huybers, per arrivare ai loro risultati, hanno analizzato i cambiamenti di colori di oltre 100 dipinti: 38 di Monet (dal 1864 al 1901) e 60 di Turner (dal 1796 al 1850). Sono infine giunti alla conclusione che queste opere permettono di tracciare una sorta di storia dell’inquinamento atmosferico.

Nel loro studio pubblicato sulla rivista scientifica Pnas hanno spiegato:

Analizzando i loro paesaggi si può rilevare la quantità di smog presente nell’atmosfera quando sono stati realizzati, perché gli inquinanti possono alterare pesantemente l’aspetto dei paesaggi anche in modi visibili ad occhio nudo.

Monet e Turner catturavano anche la realtà

L’offuscamento, dunque, non sarebbe dovuto ad una precisa scelta stilistica, ma alla realtà che i pittori osservavano e poi riportavano sulle loro tele. Il coautore dello studio Peter Huybers, scienziato del clima e docente all’università di Harvard, ha osservato:

Perché anche se l’impressionismo è spesso in contrasto con il realismo, secondo le nostre ricerche non c’è dubbio che anche le opere di Monet e Turner catturano una certa realtà.

Anna Lea Almright, scienziata atmosferica e autrice principale dello studio, gli ha fatto eco sostenendo che i pittori in questione non solo sono stati particolarmente sensibili ai cambiamenti naturali dando vita a questi stili, ma anche ai cambiamenti causati dall’uomo.

I ricercatori, utilizzando un modello matematico per confrontare i dipinti nel corso degli anni, hanno osservato quanto inizialmente fossero nitidi i contorni degli oggetti rispetto allo sfondo e l’aumento dell’intensità della foschia con il passare del tempo. Hanno scoperto che:

Il 61% dei mutamenti di contrasto nei dipinti seguiva in gran parte l’aumento delle concentrazioni di anidride solforosa durante quel periodo di tempo.

Emissioni più che raddoppiate

Un esempio lampante di quanto stava accadendo nel mondo è fornito dalla tela Search of Appullus, del 1814 di William Turner. Se la mettiamo a confronto con Rain, Steam and Speed – The Great Western Railway (conosciuta come Pioggia, vapore e velocità), dipinto 30 anni dopo, si nota come qui dominano i cieli nebbiosi.

Monet nebbia

@PNAS

Il motivo, secondo gli autori dello studio, è da ricercarsi nel fatto che durante quel periodo le emissioni sono più che raddoppiate.

Lo stesso esempio di cielo si ritrova nei molti quadri che Monet dipinse sempre dal ponte di Charing Cross dove si percepisce quanto la visibilità del panorama e degli oggetti ritratti diminuisca.

Già all’epoca, dunque, la mano dell’uomo stava radicalmente modificando i paesaggi e ancora oggi, a distanza di quasi 200 anni, continua a farlo sempre più inesorabilmente.

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Fonte: PNAS

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