Un team di archeologi prova a ricostruire la filiera del sale all'epoca dei Maya, ponendo particolare attenzione a chi produceva questo bene
Chi provvedeva a soddisfare il fabbisogno di sale nelle regioni continentali del territorio Maya? E come vivevano gli operai che si occupavano della produzione di questo bene? A queste risposte prova a rispondere un team di archeologi
Gli antichi Maya sono noti a tutti per gli imponenti templi in pietra e per i sontuosi palazzi nel bel mezzo della foresta pluviale del centro America, ma le comunità che vivevano nell’entroterra mancavano di un bene necessario alla sopravvivenza: il sale. Le fonti di sale, infatti, si trovavano lungo le coste (il deserto salato dello Yucatan o le saline lungo le coste del Belize), ma come faceva questo bene a raggiungere le aree continentali e a permettere alla popolazione Maya di utilizzarlo sulle loro tavole?
Gli archeologi della Louisiana State University hanno portato alla luce delle “cucine di sale”, dove la salamoia veniva bollita in grossi tegami di argilla, ed edifici dal tetto di paglia incredibilmente preservati sotto il mare del Belize. Possiamo immaginare questi luoghi come centri di lavorazione del sale, ma non è ancora chiaro dove vivessero effettivamente gli “artigiani del sale”, e questo ha lasciato aperto l’interrogativo se si trattassero di lavoratori stagionali provenienti dalla costa o addirittura dall’entroterra.
Gli archeologi hanno iniziato un progetto di ricerca delle abitazioni degli artigiani del sale, per comprendere come avvenivano i processi di produzione del sale e di trasporto nelle aree continentali – partendo dai resti di case di pali e paglia e di ceramiche già rinvenuti (mantenuti in condizioni di forte umidità, affinché non si deteriorassero asciugandosi): questi resti sono stati poi datati con la tecnica del radiocarbonio, per verificare che fossero contemporanei fra loro. La datazione al carbonio radioattivo ha dimostrato una sequenzialità nella costruzione di questi edifici, iniziata nel periodo tardo classico (all’acme della civilizzazione Maya) e che è proseguita fino all’ultimo periodo della civiltà, quando i governatori delle città-stato sul continente iniziarono a perdere il controllo sui propri territori (fino a che, alla fine, gli insediamenti furono del tutto abbandonati attorno al 900 d.C.).
I ricercatori hanno poi usato come modello un altro sito archeologico già ben studiato, quello di Sacapulas in Guatemala, per comprendere meglio le diverse funzioni dei vari edifici: alcuni sono stati considerati come dimore, altre come cucine per la bollitura del sale o per altre attività di conservazione del cibo, come la salatura del pesce. In particolare, si riporta la costruzione di un edificio divisibile in tre aree: una prima adibita alla bollitura della salamoia, una seconda usata come abitazione e una terza area esterna dove il pesce veniva salato e messo a seccare. Nell’area archeologica indagata dagli archeologi si è stimata la presenza di dieci cucine del sale, tutte attive all’epoca della salina di Paynes Creek (oggi in Florida).
Questa ricerca dimostra ancora una volta l’importanza di datare al radio-carbonio ogni edificio presente nella salina, per valutare la capacità di produzione del sale – spiegano i ricercatori. – La ricerca dimostra anche il contributo di localizzare individualmente gli artefatti sul fondale marino, nei siti sommersi, per immaginarne l’uso. Usare come modello la salina di Sacapulas ci ha permesso di immaginare che gli artigiani del sale di epoca Maya vivessero in modo permanente in una comunità dove l’attività di produzione del sale faceva parte dell’economia della regione e permetteva loro di scambiare questo bene con una serie di merci non locali.
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Fonti: Ancient Mesoamerica / Louisiana State University
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