La trasposizione cinematografica del regista britannico Harry Bradbeer – autentico manifesto femminista – è ora disponibile su Netflix.
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Uguaglianza di genere, suffragio femminile e una buona dose di ironia. Se c’è una cosa che possiamo fare in questo periodo di quarantena forzata è leggere libri e vedere dei buoni film. Ed Enola Holmes è tutte e due le cose messe insieme. Nato, il libro, dalla penna della scrittrice Nancy Springer, la trasposizione cinematografica del regista britannico Harry Bradbeer – autentico manifesto femminista – è ora disponibile su Netflix.
Perché “femminista”? Perché Enola Holmes, sorella del ben più celebre Sherlock (Enola, però, non compare nelle pagine del racconto originale di Doyle), è tutto tranne che una ragazzina timida e sprovveduta, di quelle che crescono nell’attesa che un uomo le salvi. Enola (il contrario di Alone – sola – come lei stessa spiega all’inizio del film) è ambizione e determinazione, in un miscuglio perfetto di lotta verso i pari diritti (e parliamo dell’Inghilterra di fine 800).
D’altronde, è già da un pezzo che al cinema assistiamo a una ripresa del “potere” al femminile, di donne ed eroine che guardano dritto e non si lasciano più incantare dalle favole delle scarpette di cristallo.
La trama di Enola Holmes
Enola (la bravissima Millie Bobby Brown, che abbiamo conosciuto in Stranger Things) è la sorella 16enne del famoso investigatore Sherlock Holmes. Morto il padre e trasferitisi i fratelli (il primogenito è l’ottuso Mycroft), lei cresce in campagna con la madre Eudoria, femminista ante litteram, e la governante, imparando da autodidatta ogni genere di arte e mestiere.
Enola quindi si costruisce il suo mondo di forza e idee “rivoluzionarie” senza mai vedere i fratelli maggiori, ma quando una mattina si sveglia e non trova più la mamma, ecco che nella sua vita tornano Sherlock e Mycroft. Ma se l’uno, affermatissimo investigatore, deve trovare la madre, l’altro, Mycroft, vuole trasformare Enola in una signora perché “è stata educata come una selvaggia femminista”.
Ma Enola non ci sta e sulla scia di quello che le aveva insegnato la madre (“Bisogna fare un po’ di rumore se vuoi essere ascoltata”), scappa a sua volta, su alcune tracce che le aveva lasciato la madre stessa.
Da qui partono le sue mille avventure a Londra, condividendo da subito il viaggio con un improbabile giovanissimo Lord.
Il suffragio
Filo conduttore di tutta la pellicola è il femminismo in tutte le sue sfaccettature: il rapporto madre/figlia, le idee controtendenza di Enola (“Non ho bisogno di un uomo!”), la consapevolezza delle proprie idee e delle proprie capacità e persino il Ju Jitsu praticato da un folto numero di signore.
Tutto ha sullo sfondo un tema storico: le attiviste che protestano e combattono (e muoiono) per il suffragio femminile. Nel volantino per un incontro delle suffragette, compare un omaggio alla vera sindacalista Amie Hicks, all’autrice Gwyneth Vaughan e all’attivista per i diritti e l’educazione dei bambini Margaret McMillan.
https://www.greenme.it/lifestyle/costume-e-societa/mappa-voto-donne/
Il film ritrae una vittoria di misura nel voto parlamentare, ma in realtà il Third Reform Act del 1884 non includeva le donne. Le inglesi, ma solo una ristretta élite, voteranno infatti per la prima volta nel 1918 e soltanto nel 1928 il voto sarebbe stato concesso a tutte senza distinzioni.
Il Ju Jitsu
Sin da bambina, la madre le aveva insegnato le arti marziali e le tecniche per difendersi e a un certo punto le sue indagini portano Enola a un corso di jiujitsu femminile tenuto da Edith Grayston (Susan Wokoma). Il nome di Edith è chiaramente ispirato a quello di Edith Garrud, la prima istruttrice professionista di jiujitsu nel mondo occidentale.
Vale la pena notare che già il personaggio di Helena Bonham Carter in Suffragette, l’istruttrice di autodifesa Edith Ellyn, è stato chiamato anch’esso in onore della Garrud (e fu la Garrud che, intorno al ‘900, illustrò le potenzialità della pratica scrivendone su Votes for Women, il giornale delle attiviste, e cominciò a insegnare il Ju Jitsu anche al “Club di autodifesa delle Suffragette”).
Enola si ritrova impegnata in una disperata lotta in un vicolo con l’assassino Linthorn armato di bastone che sta perseguitando il suo amico Lord (visconte Tewskbury, marchese di Basilwether). Questa è di gran lunga la scena di combattimento più elaborata e spettacolare del film, ben coreografata dal coordinatore degli stunt Jo McLaren:
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=hask1TtZuGA&feature=emb_logo
Nell’Inghilterra di inizio Novecento il Ju Jitsu era davvero una pratica comune e lo era anche tra le donne, che lo usavano per difendersi e come strumento di emancipazione.
Le prime scuole di Ju Jitsu in Inghilterra si diffusero proprio in quegli anni, grazie a Edward William Barton-Wright, uomo d’affari di ritorno dal Giappone. Nel 1898, Barton-Wright riuscì ad adattare la pratica alla società inglese e, con l’aiuto del maestro giapponese Yukio Tani, diffuse il “bartitsu” (il “Ju Jitsu di Barton”), la versione del Ju Jitsu modificata da Barton, peraltro ripreso da Conan Doyle nei racconti de L’avventura della casa vuota (1903) per spiegare come Sherlock Holmes fosse riuscito a sconfiggere in una lotta il Professor Moriarty, suo nemico.
Allo stesso tempo, un articolo del Daily Mirror pubblicizzava le lezioni di tale Miss Roberts alla scuola di Sadakazu Uyenishi, mentre si iniziarono a vedere anche dimostrazioni e spettacoli, tra cui The Ju-jitsu Waltz, una danza atletica e teatrale interpretata proprio da una donna, l’attrice francese Gaby Deslys, che “lottava” con un maestro di arti marziali giapponese, S.K. Eida.
Il trailer del film
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