Con la nuova riedizione, spariscono dai romanzi della regina del giallo parole ed espressioni considerate offensive e non inclusive: ma è davvero questo il modo di promuovere la cultura per tutti?
Dopo i romanzi per bambini di Robert Dahl, anche i gialli di Agatha Christie si “rifanno il look” in nome del politically correct.
In occasione dell’ultima riedizione delle avventure di Hercule Poirot e di Miss Marple, la casa editrice HarperCollins ha scelto di modificare alcuni passaggi al fine di eliminare espressioni potenzialmente offensive e razziste – soprattutto per ciò che riguarda i personaggi che i due detective incontrano al di fuori del Regno Unito.
L’operazione “riscrittura” è iniziata nel 2020, quando i romanzi di Christie hanno iniziato a subire la lettura critica della cancel culture. L’obiettivo, discutibile, è quello di rendere questi romanzi più inclusivi e più adatti a essere letti anche in un’epoca – la nostra – lontana più di un secolo dal momento in cui furono scritti.
Alcuni esempi? Il termine “nativo” è stato sostituito con “locale”, mentre il “carattere indiano” di un giudice è stato completamente omesso. Inoltre, sono stati eliminati molti riferimenti all’origine etnica dei personaggi: parole come “nero”, “ebreo” e “zingaro” sono state cancellate.
Fino a che punto possiamo tollerare questa violenza su testi letterari che appartengono a un’altra epoca e che, per questo motivo, sono stati influenzati da una morale e un’etica che non ci appartengono e che non possiamo comprendere?
Fino a che punto possiamo entrare fra le righe dei libri, modificarli alla luce del nostro presente senza rispetto per l’autore che li ha immaginati e concepiti? Fino a che punto questo atteggiamento non deve essere considerato una censura?
L’aver eliminato un paio di termini che oggi vengono ritenuti non inclusivi non cambia la sostanza del romanzo, né tantomeno l’ideologia di un autore – in questo caso, un’autrice – che è morta da decenni e che non può opporre resistenza a questi cambiamenti che a noi sembrano delle vere e proprie offese.
Ogni opera (letteraria, figurativa, cinematografica) va calata nel contesto in cui è nata e da cui è stata influenzata, e va associata a un autore che ha il diritto di esprimere la propria visione del mondo: cancellare, appiattire, omologare – non rappresentano forse la fine dell’opera d’arte?
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Fonte: The Guardian
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