L'Atlante delle emozioni è un libro che consente un viaggio incredibile in 156 sfumature emotive che appartengono all'uomo. Una mappatura mai fatta, divertente, curiosa e per tutti.
Se grazie a Paul Ekman sapevamo che ci sono almeno 6 emozioni (felicità, tristezza, rabbia, disgusto, paura e sorpresa) la cui manifestazione varia anche in base alla cultura di riferimento, oggi grazie all’Atlante delle emozioni umane di Tiffany Watt Smith abbiamo la certezza che lo spettro delle emozioni a nostra disposizione è decisamente più ampio.
Il saggio, appena pubblicato da Utet Libri (22 euro, anche in versione ebook) presenta le “156 emozioni che hai provato, che non sai di aver provato, che non proverai mai” (linkaffiliazione). L’autrice è una storica culturale e fa parte del comitato direttivo del Centre for the History of the Emotions, dove – oggi – si occupa di indagare la storia dell’imitazione compulsiva: dalla frenologia di epoca vittoriana ai più recenti studi sui neuroni specchio.
Naturalmente non era necessario un libro per farci sapere che le nostre emozioni possono avere infinite sfumature ma questo volume ha vari meriti, oltre alla piacevolezza della lettura: mette insieme, in una sorta di mappa, tutte (o quasi, forse) le differenze affettive che ci sono tra i popoli (mostrandoci al tempo stesso che, in fondo, siamo in realtà uguali); ci informa che è stato dato un nome anche scientifico alle varie sfumature di stati d’animo che ci accompagnano nella vita; è una raccolta divertente e curiosa.
Non si tratta solo di terminologie e delle lingue che colgono aspetti particolari (ad esempio, solo gli Inuit chiamano iktsuarpok il miscuglio di ansia, nervosismo, eccitazione e felicità che prova chi aspetta l’arrivo di ospiti a casa, o la risposta a una mail importante; per i finlandesi, kaukokaipuu è l’inspiegabile nostalgia per un posto dove non siamo mai stati; gli spagnoli chiamano vergüenza ajena l’imbarazzo empatico di chi assiste alle figuracce altrui) ma anche di scienza.
Alzi la mano chi non ha mai avuto l’impressione di aver sentito suonare il proprio telefonino, anche quando non era vero: probabilmente abbiamo quindi sofferto di laringxiety. Stando allo psicologo David Laramie, che ha definito per la prima volta questo stato, si tratta di un’ansia leggera, da squillo.
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Probabilmente a tutti è anche capitato di sentirsi song. Song è il nome che gli abitanti di Ifaluk, una piccola isola dell’Oceano Pacifico in cui si vive secondo una cultura basata sull’interdipendenza e la collaborazione, danno alla rabbia provata quando qualcuno viola uno dei princìpi chiave del loro sistema di valori, rifiutandosi di condividere un oggetto o un bene. Se un cacciatore di tartarughe non distribuisce la sua preda in porzioni perfettamente uguali, o se una donna fuma una sigaretta senza offrire un tiro anche agli altri presenti, chi non ha ricevuto un’equa attenzione non cerca né di nascondere la delusione, né di trattenersi dal dare un duro giudizio morale.
Awumbuk è invece il senso di vuoto che rimane dopo la partenza di un ospite: i rumori echeggiano tra le mura di casa. Lo spazio che sembrava tanto ridotto mentre lui o lei era ancora qui adesso pare straordinariamente ampio. Se non siamo riusciti a darci una risposta sul senso di questa apparente contraddizione, possiamo utilizzare la visione dei Baining, che vivono sulle montagne della Papua Nuova Guinea: le persone, quando se ne vanno, per poter viaggiare più leggeri lasciano la loro coltre di pesantezza, che può aleggiare in casa per circa tre giorni. A proposito, hanno un rimedio particolare per ovviare all’inconveniente: appena gli ospiti se ne sono andati, riempiono una ciotola d’acqua e la lasciano in casa per una notte intera, perché assorba la “pesantezza”; al mattino dopo la vanno a gettare questa acqua nella natura. Potranno così riprendere la loro vita normalmente. Nel caso di senso di vuoto da ospite, si può sempre provare.
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Ancora: se avete parenti, amici o conoscenti che provano un’attrazione irresistibile nei confronti dei palazzi fatiscenti e dei luoghi abbandonati, sappiate che sono affetti da Ruinenlust.
Gusti a parte, che dire della paura? Per i Pintupi, abitanti dei deserti dell’Australia occidentale, ne esistono quindici diversi tipi. Qualcuna può riguardare anche noi: chi teme che qualcun altro voglia vendicarsi su di lui per qualcosa sta provando ngulu. La spiacevole sensazione di avere qualcuno che si sta avvicinando alle nostre spalle, di notte, ha un nome: kamarrarringu.
Insomma, riassumendo: questo è un libro davvero divertente, interessante.
Da leggere magari stando gezelligheid, comodi, abbracciati o comunque vicini a qualcuno che ci sia caro.
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