Le lampade di design tutte italiane che combattono l’obsolescenza programmata e la delocalizzazione

La terza puntata del format green di Matteo Viviani va da Lumina, in Lombardia, un’azienda di prodotti per l'illuminazione, per vedere se è vero che produce lampade “avendo a cuore il benessere di tutti gli esseri viventi” come sostiene

Può una lampada di design essere progettata in chiave circolare? Può essere riparata svariate volte in modo che duri nel tempo? Certo che sì ed è proprio quello il punto: per essere davvero sostenibile, un oggetto – anche una lampada – deve potersi disassemblare e aggiustare. Proprio come quelle che crea Lumina.

Suona strano? Non esattamente se partiamo da un presupposto: vi siete mai chiesti come e dove vengono realizzati i prodotti di illuminazione che scegliete per la vostra casa e se davvero sono rispettosi dell’ambiente?

Per scoprirlo, Matteo Viviani continua il suo viaggio insieme con GreenMe nel nuovo format video “Andiamo a vedere se è vero”, 8 episodi realizzati nelle fabbriche e nei laboratori per accompagnarci alla scoperta delle aziende che “hanno superato la prova di ecosostenibilità”.

Questa volta Matteo ci porta ad Arluno, un piccolo centro nella provincia di Milano, da Lumina, un’azienda tutta italiana che crea lampade “dalle linee essenziali e dall’anima tecnologica”.

Lumina: un’azienda tutta italiana

Fondata nel 1980 a Sedriano, un piccolo centro dell’hinterland milanese, da Tommaso Cimini, fin dall’inizio era chiaro il suo principio ispiratore: è la funzione che genera la forma.

Da lì a creare storiche lampade di design – Daphine, per esempio, è diventata un’icona senza tempo del design italiano – il passo è stato breve. Ma sempre e soltanto con un leitmotiv unico: sviluppare prodotti durevoli nel tempo.

E non solo:

Tutela dei lavoratori e delle loro famiglie, un modo di vivere l’artigianato ancora ben ancorato ai valori di un tempo, la filiera corta dei fornitori, Ettore Cimini, figlio di Tommaso, che accoglie Matteo così, col piglio di vero imprenditore che sa bene cosa serve per far star bene innanzitutto coloro che lavorano in azienda.

Qui, insomma, non si creano lampade tanto per dire: alluminio, acciaio, vetro (la plastica unicamente dove è indispensabile), le lampade di Lumina – totalmente ed orgogliosamente made in Italy e commercializzate in 104 Paesi – sono più che durevoli, all’occorrenza riparabili e costituite da componenti interamente smontabili a fine vita del prodotto (il cosiddetto Design for Disassembly).

Il recupero dei materiali

Quella di Ettore è una ricerca costante del recupero dei materiali, a partire proprio da quell’alluminio riciclabile infinite volte:

Se mi serve un pezzo, taglio l’esatta quantità di metallo, poi tutta la limatura di alluminio che rimane l’andiamo a riciclare come usato. Non buttiamo via niente e poi, se ho bisogno di produrre 50 pezzi, fornisco l’energia necessaria per produrre esattamente 50 pezzi, né un kW in più né un kW in meno.

Il risparmio energetico

Ed è l’energia proprio il motore di tutto. Come si genera qui? Un intero capannone ricoperto di pannelli fotovoltaici crea il miracolo: garantiscono energia pulita e 254 tonnellate di CO2 risparmiate.

L’etica del lavoro

Ma chi lavora da Lumina? Matteo mette in risalto quello che sembra un vero contrasto: da un lato di macchinari di 50 anni fa con operai che lavorano l’alluminio come si faceva una volta, dall’altro la tecnologia ha preso il sopravvento e ovviamente le macchine fanno il lavoro al posto dell’uomo:

Il discorso è sfruttare la tecnologia, ma allo stesso tempo non tralasciare quelle che sono lavorazioni tradizionali come era all’origine.

Contro ogni logica del profitto, insomma Ettore ha intrapreso un discorso etico importantissimo:

Io mi sento una responsabilità nel mio piccolo: qui ci sono poco più di 30 lavoratori, ognuno con la propria famiglia. Il fatto di riuscire a lavorare in un’azienda che diventa una vera famiglia, sembra quasi qualcosa del passato. Io mi reputo una vera azienda italiana.

Ma tutti fanno la stessa cosa tutti i giorni? No. In Lumina si cerca di far ruotare le persone, per la maggior parte donne, in reparto, in modo da lasciare una dimensione umana all’azienda. Anche questa è sostenibilità.

Tutto questo, però – incalza Viviani –, non coincide esattamente con la visione imprenditoriale comune per cui abbatti i costi e aumenti i profitti.

Infatti, per noi il margine è una conseguenza: noi viviamo tra l’artigianato e l’industria – dice Ettore –, portando avanti un’idea di azienda – la sua – che produce internamente quasi tutti i pezzi che compongono le sue lampade e ciò consente non solo di abbattere i costi e le emissioni, per esempio, dovuti al trasporto, ma anche di realizzare lampade nella maniera più sostenibile che esista.

Tanto che girando nella zona dedicata all’assemblaggio si capisce che la parte dedicata all’artigianato non è per nulla tralasciata. La dimostrazione? In fase di progettazione si pensa già al futuro, “all’idea che quell’oggetto passerà ai tuoi figli”.

Lumina dice no all’obsolescenza programmata

Anche qui Matteo Viviani mette Ettore alla prova: se si rompe una lampada so che posso smontarla per cambiare un solo pezzo? Assolutamente sì. Ettore smonta una lampada per pezzo per pezzo, dimostrando che in caso di guasto, ognuno di essi potrà essere sostituito, evitando così di comprare nuovamente un prodotto.

Le lampade di Lumina sono iconiche: nascono dall’etica del lavoro e rappresentano fedelmente la capacità produttiva dell’azienda. Le tecnologie più avanzate gli consentono di ottenere la migliore sintesi tra forma e funzione.

I nostri prodotti sono essenziali e puri. Li realizziamo avendo a cuore il benessere di tutti gli esseri viventi, Tommaso Cimini, fondatore di Lumina.

Andiamo a vedere se è vero, fino all’ultimo

Un’azienda etica al 100%, insomma, ma Matteo Viviani vuole insinuare ancora qualche dubbio: l’acqua con cui si lavano i pezzi sporchi da officina, per esempio, che fine fa? Ettore non molla e non c’è dubbio: l’acqua sporca viene raccolta e conferita a un’azienda di smaltimento. Quanto si ritiene sostenibile da 1 a 10 allora il nostro Ettore? Provoca Matteo.

Credo 7, perché 7 è migliorabile. E quello che mi fa specie è che quelle che secondo me son state scelte normali, oggi come oggi diventi l’eccezione, quando dovresti essere la normalità.

Ettore ne è convinto. E lo dice la sua voce commossa.

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