La Terra non è il posto migliore in cui vivere: alcuni pianeti potrebbero essere più ospitali del nostro

Un nuovo studio condotto ha ipotizzato che la Terra non sia necessariamente il miglior pianeta dell'universo

Acqua, ossigeno, nutrimento. La nostra Terra è un luogo ospitale, nonostante i nostri tentativi di distruggerla. Essa ci offre ossigeno, alimenti e una serie di condizioni che ci permettono di sopravvivere, cosa tutt’altro che comune nell’universo. Ma non è il posto migliore in cui vivere.

Un nuovo studio condotto dagli scienziati della Washington State University ha ipotizzato che la Terra non sia necessariamente il miglior pianeta dell’universo. Essi hanno identificato 24 mondi al di fuori del nostro sistema solare che potrebbero avere condizioni più adatte alla vita e alcuni orbitano attorno a stelle che potrebbero essere migliori del nostro sole.

No, non siamo i più belli e neanche i più fortunati dell’universo. Secondo lo studio condotto dallo scienziato Dirk Schulze-Makuch e recentemente pubblicato sulla rivista Astrobiology, vi sono dei pianeti definiti “superabitabili” le cui caratteristiche li rendono più “vecchi”, un po’ più grandi, leggermente più caldi e forse più umidi della Terra. Lì la vita può prosperare anche più facilmente, considerando che essi orbitano attorno a stelle più longeve del nostro sole.

Non illudiamoci, non possiamo raggiungerli (e distruggere anche quelli). Secondo le ipotesi avanzate dal dott. Dirk Schulze-Makuch, i 24 migliori candidati al titolo di pianeti superabitabili si trovano a oltre 100 anni luce di distanza da noi.

“Con i prossimi telescopi spaziali in arrivo, avremo più informazioni, quindi è importante selezionare alcuni obiettivi”, ha detto Schulze-Makuch, professore della WSU e dell’Università Tecnica di Berlino. “Dobbiamo concentrarci su alcuni pianeti che presentano le condizioni più promettenti per una vita complessa”.

Per lo studio, Schulze-Makuch, geobiologo con esperienza nell’abitabilità planetaria, ha collaborato con gli astronomi René Heller del Max Planck Institute for Solar System Research e Edward Guinan dell’Università di Villanova per identificare i criteri di superabitabilità e cercare tra i 4.500 esopianeti noti oltre il nostro sistema solare i migliori candidati. Ciò non significa che essi stiano necessariamente ospitando forme di vita ma semplicemente che ne hanno le condizioni.

I ricercatori hanno selezionato sistemi pianeta-stella con probabili pianeti terrestri in orbita all’interno della zona abitabile, in cui potrebbe essere presente acqua allo stato liquido. Sebbene il sole sia il centro del nostro sistema solare, la sua vita è relativamente breve di meno di 10 miliardi di anni. Poiché ci sono voluti quasi 4 miliardi di anni prima che qualsiasi forma di vita complessa apparisse sulla Terra, molte stelle simili al nostro sole, chiamate stelle G, potrebbero esaurire il “carburante” prima che la vita possa svilupparsi.

Oltre a guardare i sistemi con stelle G, i ricercatori hanno esaminato anche quelli con stelle nane K, un po’ più fredde, meno massicce e luminose del nostro sole. Esse hanno il vantaggio di una lunga durata di vita compresa tra 20 e 70 miliardi di anni. Ciò consentirebbe ai pianeti in orbita di essere più vecchi e darebbe alla vita più tempo per avanzare verso la complessità attualmente presente sulla Terra.

Anche le dimensioni e la massa contano. Un pianeta più grande della Terra del 10% dovrebbe essere più abitabile. Ci si aspetta che un pianeta che abbia circa 1,5 volte la massa della Terra mantenga il suo riscaldamento interno attraverso il decadimento radioattivo più a lungo e abbia anche una gravità più forte.

Tra i 24 migliori pianeti candidati nessuno di loro soddisfa tutti i criteri per i pianeti superabitabili ma molti hanno alcune di queste caratteristiche. Addirittura, una ne possiede quattro ed è potenzialmente migliore della Terra.

“A volte è difficile trasmettere questo principio dei pianeti superabitabili perché pensiamo di avere il pianeta migliore”, ha detto Schulze-Makuch.

Per fortuna (del pianeta), siamo troppo lontani per raggiungerlo.

Fonti di riferimento: Washington State University, Astrobiology

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