Uno studio condotto da un gruppo di ricerca ha previsto una perdita di oltre 20 miliardi di euro in tutta Europa dovuta alla diffusione di Xylella
Il mondo lotta contro il coronavirus, ma nel frattempo Xylella continua ad avanzare e ad uccidere ulivi nel Mediterraneo, colpendo, purtroppo, soprattutto i Paesi particolarmente devastati dal virus. Uno studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale ha previsto una perdita di oltre 20 miliardi di euro in tutta Europa, con particolari ripercussioni per Italia, Spagna e Grecia.
Xylella Fastidiosa (questo il nome scientifico) è un batterio trasmesso da alcuni insetti che, passando da un ulivo all’altro, infettano le piante, alle quali viene sottratta la linfa xylematica e che quindi muoiono come se a noi fosse sottratta una quantità eccessiva di sangue.
Una storia lunga a dolorosa in particolare per il nostro Salento che aveva fatto degli ulivi una tradizione nonché uno dei fulcri della propria economia. Questa stupenda zona della Puglia era verde di ulivi ma ora appare arida, come mostrato in un desolante video dell’agronomo Antonio Polimeno nella provincia di Lecce, dove il batterio ha distrutto interi ettari di ulivi.
Ecco come Xylella e abbattimenti hanno distrutto il Salento: al posto degli ulivi il deserto (VIDEO)
Era ottobre 2013 quando si scoprì che, dietro a quei disseccamenti anomali iniziati tra il 2009 e il 2010, poteva esserci proprio questo agente patogeno, che si diffonde molto rapidamente tanto da rappresentare ormai un pericolo per tutto il Mediterraneo. Tra abbattimenti imposti e morti per infezione, la storia e l’economia di un territorio sono ormai in crisi.
Un disastro annunciato ma, come troppo spesso accade, sottovalutato. Solo nel nostro Paese, le conseguenze della diffusione della malattia sono state devastanti, con un calo stimato del 60% dei raccolti dopo la prima scoperta nel 2013.
“Il danno alle olive provoca anche un deprezzamento del valore della terra e dell’attrattiva turistica di questa regione – ha spiegato alla BBC Maria Saponari, ricercatrice dell’Istituto CNR per la protezione sostenibile delle piante in Italia – Ha avuto un grave impatto sull’economia locale e sui posti di lavoro connessi all’agricoltura”.
In questo nuovo studio si prevede che in Spagna, se l’infezione si espandesse e la maggior parte degli alberi si infettasse e morisse, i costi potrebbero arrivare a 17 miliardi di euro nei prossimi 50 anni, mentre uno scenario simile in Italia (di cui il lavoro ha effettuato uno studio a 5 e 50 anni come in figura) ammonterebbe a oltre 5 miliardi, e in Grecia a circa 2.
Danni che, se si trovasse il modo di fermare l’infezione, sarebbero notevolmente ridotti. Ma gli autori ritengono che, qualunque cosa accada, un impatto a catena sui consumatori sarà inevitabile.
“L’effetto previsto potrebbe essere la mancanza di offerta – spiega Kevin Schneider, primo autore del lavoro – E mi aspetto che, se i prezzi saliranno, i consumatori saranno sempre meno incoraggiati all’acquisto”.
A questo si potrebbero aggiungere enormi perdite turistiche e culturali più pesanti di quanto possiamo immaginare.
“Esistono davvero storie devastanti di frutteti infetti ereditati da generazioni – continua il ricercatore – Sono gli stessi su cui in passato lavoravano i nonni. Ma quindi come si fa a prevedere un numero su qualcosa del genere? Il valore del patrimonio culturale sarebbe molto più grande di quanto si possa calcolare”.
Ma la ricerca non si ferma: è un corso un numero crescente di iniziative scientifiche per provare a combattere il batterio, incluse indagini genetiche per determinare perché alcune piante sono più sensibili all’infezione di altre. In definitiva, i ricercatori ritengono che per battere l’agente patogeno occorreranno alberi resistenti alla malattia.
“Cercare cultivar resistenti o specie immunitarie è una delle strategie di controllo a lungo termine più promettenti e sostenibili dal punto di vista ambientale a cui la comunità scientifica europea sta dedicando importanti sforzi di ricerca” ha confermato la Saponari.
Nulla (o quasi) è del tutto perduto.
Il lavoro è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS).
Fonti di riferimento: BBC / PNAS
Leggi anche: