Sahara Solar Breeder Project: energia solare dal deserto per salvare il pianeta

Nasce da una collaborazione tra ricercatori giapponesi e algerini quello che forse sarà considerato il più ardito e ambizioso progetto in fatto di energia solare di sempre: il Sahara Solar Breeder Project. Un progetto che avrà come obiettivo ultimo quello di soddisfare il 50% del fabbisogno energetico mondiale entro il 2050. E per capire meglio quale sia la posta in palio, basterà ricordare che l'analogo progetto Desertec ha come obiettivo quello di soddisfare “solo” il 15% del fabbisogno energetico dell'Europa.

Nasce da una collaborazione tra ricercatori giapponesi e algerini quello che forse sarà considerato il più ardito e ambizioso progetto in fatto di energia solare di sempre: il Sahara Solar Breeder Project. Un progetto che avrà come obiettivo ultimo quello di soddisfare il 50% del fabbisogno energetico mondiale entro il 2050. E per capire meglio quale sia la posta in palio, basterà ricordare che l’analogo progetto Desertec ha come obiettivo quello di soddisfare “solo” il 15% del fabbisogno energetico dell’Europa.

Presentato per la prima volta un anno fa al G8+5 Accademies’ Meeting di Roma dall’ingegnere giapponese Hideomi Koinuma dell’Università di Tokyo, il Sahara Solar Breeder Project si basa su un’idea tutto sommato semplice: sfruttare due cose che un deserto immenso come quello del Sahara (da cui il nome del progetto) possiede in abbondanza, sole&sabbia. Se quest’ultima è infatti una fonte ricchissima di silicio, e se il silicio è l’elemento principale dei comuni pannelli solari, perché non fabbricare i pannelli fotovoltaici direttamente nel deserto, connetterli alla rete energetica mondiale e utilizzare una parte dell’energia prodotta per alimentare altre piccole fabbriche e così via?

Detta così fila abbastanza liscia. Peccato che nessuno sia ancora riuscito a estrarre il silicio dalla sabbia di un deserto. O meglio, non con risultati abbastanza soddisfacenti e competitivi, in quanto il processo di lavorazione richiede moltissima energia (e infatti la maggior parte delle fabbriche in cui viene prodotto il silicio si trovano in paesi che hanno tariffe elettriche basse). Inoltre, bisogna considerare le temperature che necessitano le “long power lines” per il trasporto dell’energia su lunghe distanze, qualcosa come -240° C, il che renderebbe indispensabile un sistema di refrigerazione tanto efficiente quanto costoso. Non da ultimo, bisogna tenere conto di variabili come le tempeste di sabbia, la manodopera, ecc…

 

Insomma, i presupposti ci sono (con lo 0,01% dell’energia che colpisce il Saharaogni giorno si potrebbe superare il fabbisogno energetico dell’intero pianeta”, ricorda Koinuma) ma il cammino sembra ancora molto, molto lungo. E i finanziatori scarseggiano: nei prossimi 5 anni il team di ricercatori dovrà accontentarsi di 2 milioni di dollari di budget. “Per il momento il nostro obiettivo sarà quello di verificare quanto in profondità dovranno essere poste le pipeline per minimizzare le variazioni di temperatura”, fanno sapere i ricercatori. Sarà forse un modo per dire: in attesa dei soldi, meglio prenderla alla lontana?

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