Gli allevamenti intensivi sono bombe a orologeria, ma la Cop26 se ne sta dimenticando (INTERVISTA)

In occasione della COP26, greenMe ha aperto uno spazio di riflessione con una serie di esperti, scienziati e attivisti che sostengono la lotta contro la crisi climatica, per capire insieme cosa aspettarci dalla nuova Conferenza Onu di Glasgow e cosa fare perché abbia successo 

“C’è una maggiore sensibilità nelle coscienze, ma gli interessi sono ancora troppo forti”: con Lorenza Bianchi, Responsabile LAV Area Animali negli allevamenti, facciamo il punto su animali e allevamenti, grandi assenti del dibattito sul clima.

Si è più volte parlato degli allevamenti come vere e proprie bombe a orologeria. Il loro aumento è causa della diffusione delle più svariate malattie di origine animale e non solo: è anche causa di deforestazione, inquinamento e in generale della crisi climatica. Secondo la FAO, gli allevamenti emettono il 14,5% dei gas serra, eppure sono i grandi assenti dalla Cop26. Perché?

Beh, non solo: ci sono stime che calcolano anche in quantità maggiori il contributo degli allevamenti al riscaldamento globale per cui si va dal 15-16% che erano le stime FAO al 20% secondo il rapporto IPCC (circa il 25% di emissioni causate dall’agricoltura, di cui la
zootecnia è responsabile per il 70%). In più, se si considerano tutti gli effetti indiretti potremmo arrivare anche a cifre più elevate… La cosa certa è che si parla di un contributo enorme che dovrebbe essere riconosciuto ma che di fatto non lo è. I motivi sono sicuramente numerosi e anche non del tutto ovvi, però la ragione principale è che c’è di contorno un fortissimo interesse. Penso all’Europa e ai fondi destinati dalla Politica agricola comune: in questo caso c’è un energico interesse a che di fatto non venga cambiata questa struttura di produzione alimentare, in cui viene massicciamente sovvenzionata la produzione di carne e di tutti i prodotti derivati da animali.

Si sta riferendo alle lobby…

Sì, quelle dell’agrifood in Europa sono molto influenti e questo perché arriviamo da una situazione diversa da oggi. Quando si è definita la PAC (la Politica agricola comune) uscivamo della guerra, c’erano esigenze di sicurezza alimentare che erano prioritarie su tutto il resto, mentre oggi sicuramente non possono essere più l’unico obiettivo importante in gioco, quanto meno nei Paesi sviluppati. Per questo la PAC dovrebbe che oggi rispondere a necessità diverse. Le lobby dell’agroalimentare, dal canto loro, devono in qualche modo assicurarsi – e fanno di tutto – che la cosa continui e chiaramente spingono per non cambiare le carte in tavola.

Per quanto le lobby possano “mascherare” la loro responsabilità, i numeri comunque parlano chiaro, anche in Italia…

Vero. In Italia si macellano all’incirca 700 milioni di animali ogni anno. È un numero spropositato perché vuol dire più di 10 volte la popolazione italiana. In termini di individui, si tratta di un dato fortemente sbilanciato verso gli avicoli, in primis polli, cui seguono tacchini, galline ovaiole, conigli e poi animali di taglia più grossa, selezionati per raggiungere peso sempre maggiore, inferiori in numero ma rilevanti in termini di consumo pro-capite. In particolare mi riferisco alla carne di maiale (soprattutto lavorata), che si posiziona in testa e non ha registrato una diminuzione.
Quanto all’Europa, includendo quindi l’Italia, circa il 97/99% degli allevamenti sono intensivi e sono più 300milioni gli animali ancora allevati in gabbia. Una realtà ben lontana dagli allevamenti bucolici che l’industria dipinge…

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Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata e il consumo di carne triplicato. E anzi si stima che la produzione mondiale di carne raddoppierà ancora entro il 2050. Sembra quasi che per le persone sia più facile acquistare un’auto elettrica che abbandonare la carne…

Il discorso è più che altro legato a quanti siamo sulla Terra: si calcola che nel 2050 arriveremo a 10miliardi di persone, per cui va da sé che aumenterà proprio il numero degli individui che avranno necessità di mangiare e nutrirsi. Il secondo motivo è da collegarsi al livello di sviluppo cui molti Paesi stanno arrivando, penso soprattutto a Cina, India, Brasile, che stanno spostando i loro consumi alimentari verso una sempre maggiore quantità di prodotti di origine animale, allineandosi a quello che è il modello di consumo occidentale. Mangiare carne è infatti simbolo di benessere economico ed è storicamente collegato al reddito. Non c’è una sensibilità e un’intenzione di questi Paesi a ridurre il consumo di carne. Ma il problema continua a riguardare tutti i Paesi, anche quelli occidentali.

In Italia esiste un leggero calo di consumi per quanto riguarda i consumi di carne, ma non per il pollo. Il motivo è che c’è in corso una sostituzione di consumi tra quelle che sono le carni rosse, per motivi principalmente di salute e di attenzione all’ambiente, e le carni bianche. Ma anche se la sensibilità in Italia è senz’altro maggiore, anche per quanto riguarda l’acquisto di prodotti vegetali, non tutti sanno che, parlando proprio di polli, nella maggior parte dei casi gli allevamenti sono capannoni costrittivi con gli animali stipati all’interno che arrivano tra l’altro solo alle 5 settimane di vita. A quell’età hanno già raggiunto il peso per essere macellati. In pratica, i pulcini entrano in allevamento e vi restano fino a quando non raggiungono il peso desiderato per la macellazione. In seguito alle frequenti fratture alle zampe causate dal peso eccessivo – sviluppano un petto sproporzionato, caratteristica genetica selezionata unicamente secondo logiche di commercializzazione – i polli possono passare gran parte della loro breve vita immobili sui loro escrementi, il che aumenta l’insorgere di patologie. Una non vita in condizioni terribili.

Ai tempi della Pre-Cop la LAV ha chiesto al ministero della Finanze un Fondo. Di che si tratta?

Sì LAV ha formulato due proposte per favorire la transizione alimentare, necessaria per affrontare il problema della crisi climatica: in
particolare abbiamo inviato al ministero delle Finanze la richiesta di istituire un Fondo per la transizione alimentare, basato su un prelievo monetario per ogni animale allevato. Praticamente si prevede un prelievo economico che andrebbe a bilanciare parzialmente i costi sanitari e ambientali della zootecnia e che funga anche da incentivo a una riduzione del numero degli animali negli allevamenti.

E poi abbiamo inoltrato anche la proposta di effettuare l’abbassamento dell‘IVA al 4% per tutti gli alimenti di origine vegetale e il suo innalzamento al 22% per tutti i prodotti di origine animale o contenenti ingredienti di origine animale.

Cosa vi aspettate dalla Cop26?

Che nella Cop26 gli allevamenti entrino nel dibattito come uno dei principali responsabili del cambiamento climatico e non che siano ignorati come è stato fatto fino ad oggi. Non rappresentano un contributo irrisorio come è stato dipinto finora, ma anzi uno dei contributi maggiori e non è più pensabile tentare di cambiare le cose e favorire un cambiamento di paradigma se non si considera anche questo aspetto fondamentale.

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