Un secondo focolaio di Sars-Cov-2 è stato scoperto in un allevamento di visoni in provincia di Padova. La LAV si è rivolta nuovamente al ministro Speranza per chiedere un definitivo divieto degli allevamenti di visoni, nell'interesse della salute pubblica e degli animali.
Torna l’incubo dei focolai di Sars-CoV-2 negli allevamenti. Cinque visoni allevati in un’azienda di Padova sono risultati positivi ai test. Era già successo la scorsa estate a Capralba, in provincia di Cremona, nel più grande allevamento italiano di visoni, dove in seguito allo scoppio di un focolaio sono stati poi sterminati oltre 20.000 animali. Le agghiaccianti immagini della strage di visoni, avvenuta lo scorso dicembre, sono state filmate con un drone dall’associazione animalista Essere Animali e successivamente diffuse online.
Fino al 2020 in Italia non c’è mai stato obbligo di controllare, con test diagnostici, l’eventuale presenza del virus tra i visoni, nonostante fosse abbastanza noto che i visoni infettati dal coronavirus sono asintomatici nella maggior parte dei casi, condizione che comporta la formazione di veri e propri serbatoi del virus. Ormai, però, i pericoli legati al Covid mutato negli allevamenti di visoni è sotto gli occhi di tutti. E la scoperta di un altro focolaio in provincia di Padova, nell’allevamento situato a Villa del Conte, ha messo in allarme medici e veterinari.
“Da notizie preliminari, anche l’unico allevamento rimasto attivo in Veneto, a Padova ha avuto deboli positività alla RT-PCR in meno di cinque visoni.” – dichiara il Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica del Veneto– “La sieroprevalenza su un primo gruppo di 60 visoni, al contrario ha percentuali di oltre il 90%, a sottolineare ancora che si è intercettata la coda dell’infezione, a fronte di casi umani confermati. Anche qui, nonostante la implementazione, la sorveglianza passiva non è stata tempestiva e preventiva. Si è in attesa di ulteriori dettagli dall’IZS delle Venezie che in prima linea segue il focolaio, anche per evitare allarmi e che, come accaduto in altre zone, la stampa parli di focolai nascosti”.
L’allevamento di Padova rientrava tra quelli segnalati da associazioni animaliste come la LAV, che lo scorso novembre aveva documentato il mancato rispetto da parte di allevatori e addetti delle misure minime di biosicurezza finalizzate ad evitare l’introduzione del coronavirus tra i visoni.
#EMERGENZAVISONI 📢 SECONDO FOCOLAIO IN ITALIA
Positività a #coronavirus in allevamento PADOVA➡️https://t.co/oESC4LaDul
90% visoni controllati con test sierologici, risultano essere stati esposti al SARS-CoV-2.
Min @robersperanza sospensione #28Feb insufficiente, serve DIVIETO pic.twitter.com/J3VuTMc7o1— LAV (@LAVonlus) February 3, 2021
Allevamento visoni, chiuderli subito e per sempre
Nonostante i rischi ormai appurati connessi alla salute pubblica, nel nostro Paese restano ancora attivi sette allevamenti di visoni. La loro attività è stata sospesa temporaneamente fino a febbraio con un’ordinanza del Ministero della Salute firmata lo scorso novembre. Ma presto potrebbero tornare attivi. Per questo la LAV si è rivolta al ministro Speranza per chiedere un “intervento urgente per cambiare la temporanea sospensione all’allevamento di visoni in un definitivo divieto, nell’interesse della salute pubblica e degli animali. “
“Ci appelliamo a presidenti e assessori alla Salute delle regioni in cui sono presenti allevamenti di visoni: il loro immobilismo contribuisce all’aumento del rischio per la salute pubblica” affermano gli attivisti LAV.
Anche secondo il Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica, la soluzione più efficace sarebbe quella di prolungare il divieto di riproduzione nell’allevamento dei visoni, dato che i due episodi di Cremona e Padova dimostrano che l’attuale sorveglianza non è tempestiva.
Fonte: LAV/SIVeMP Veneto/Twitter
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