Dobbiamo salvare le zone umide se vogliamo salvare il clima

Oggi 2 febbraio è la Giornata mondiale delle zone umide. Cinquant'anni fa veniva stipulata la convenzione di Ramsar

Oggi 2 febbraio è la Giornata mondiale delle zone umide. Cinquant’anni fa veniva stipulata la convenzione di Ramsar che ha permesso di proteggere più di 2000 zone umide in tutto il mondo, per una superficie di oltre 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati. Se la loro importanza per la biodiversità ormai è chiara a tutti, meno noto è il valore di tali aree del pianeta per contrastare i cambiamenti climatici.

Ricche di biodiversità, un patrimonio fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza sulla Terra. Le zone umide sono diverse, affascinanti. Alcune sono vere e proprie lagune a ridosso del mare, altre sembrano apparentemente  acquitrini abbandonati, pieni di zanzare e acque dai colori poco invitanti. Ma la loro presenza è vitale perché esse ci riforniscono di acqua potabile, catturano sostanze tossiche, ci difendono da alluvioni e inondazioni e contrastano il cambiamento climatico, catturando ingenti quantità di carbonio.

Le zone umide filtrano, immagazzinano e riforniscono il pianeta di acqua e cibo: più di  un miliardo di persone in tutto il mondo dipendono da esse per il sostentamento. Svolgono anche un ruolo chiave nella regolazione del clima del pianeta, secondo James Dalton della World Conservation Union (IUCN).

Abbiamo perso gran parte della zona umida più grande del mondo, il Pantanal

Eppure, si tratta di uno degli ecosistemi più a rischio del Pianeta. Basti pensare che il Pantanal, la zona umida più grande del mondo, nel 2020 è stata in gran parte distrutta dagli incendi. Fino a dicembre, questo delicato luogo, in cui vivono moltissime specie è stato arso dalle fiamme, legate sia alla deforestazione che alla prolungata siccità. Normalmente, il Pantanal è colpito da forti piogge tra ottobre e aprile, che inondano circa l’80% della regione, trasformandolo in un labirinto di paludi e torrenti. Ma un lungo periodo di siccità ha creato le condizioni ideali per un disastro, complice anche il dolo e gli interessi economici.

Da oltre 50 anni si lavora per tutelare le zone umide di tutto il mondo. Il 2 febbraio 1971 è stata firmata nell’omonima città dell’Iran la Convenzione di Ramsar, il primo accordo globale tra 168 Paesi finalizzato alla tutela delle zone umide e volto a promuoverne l’uso sostenibile e incoraggiare le ricerche, gli scambi di dati e le pubblicazioni relativi alla loro flora e fauna. Queste aree rappresentano ecosistemi importantissimi e custodiscono habitat fondamentali per tantissime specie di pesci, anfibi e uccelli acquatici, molti dei quali si fermano in questi spazi nel corso delle loro attività migratorie.

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 “Il Trattato di Ramsar sulla protezione internazionale delle zone umide fu varato nel 1971, un anno prima della grande Conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano di Stoccolma, la prima volta che le nazioni di tutto il mondo si riunirono per parlare di ambiente. Quegli uomini e quelle donne ebbero una straordinaria intuizione. Furono dei veri pionieri a cui oggi deve andare la nostra gratitudine se quelle aree sono arrivate fino a noi” ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

Perché le zone umide sono legate al clima

I motivi per amarle e proteggerle sono tanti ma uno diventa ancora più pressante: paludi, stagni e torbiere non ricevono l’attenzione che meritano. Eppure potrebbero aiutarci a salvare il clima e l’intera umanità. Anche se coprono meno del 4% della superficie terrestre, il 40% di tutte le specie animali vi vive o si riproduce all’interno di esse. Inoltre, un terzo di tutta la materia organica del nostro pianeta è immagazzinata in luoghi come il Pantanal nel Brasile occidentale,  la pianura alluvionale del Sudd nel Sudan meridionale o la palude di Wasjugan nella Siberia occidentale.

A livello globale, le torbiere immagazzinano il doppio della CO2 prodotta della biomassa totale di tutte le foreste del mondo messe insieme. Eppure, la costruzione di dighe, l’utilizzo delle acque sotterranee, l’aumento dell’inquinamento idrico e la produzione industriale e agricola hanno ridotto le zone umide in tutto il mondo del 35% dal 1970 soprattutto nell’America Latina.

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Il drenaggio delle aree per l’estrazione della torba è doppiamente dannoso per il clima. Non solo la capacità di stoccaggio della CO2 viene distrutta, ma quando si prosciugano queste terre, si rilasciano anche i gas che esse avevano immagazzinato, e in particolare il metano, uno dei principali climalteranti.

Di conseguenza, man mano che le temperature aumentano e le zone umide si prosciugano, possono passare da vaste riserve di gas serra a fonti di gas serra. Al contrario, quando sono presenti e in salute immagazzinano la CO2. La loro scomparsa rilascerebbe la stessa quantità di anidride carbonica che gli Stati Uniti produrrebbero continuando a usare combustibili fossili  all’attuale tasso annuale fino al 2100.

Le zone umide possono aiutare a combattere i disastri naturali

Il cambiamento climatico sta rendendo più gravi i disastri ambientali come tempeste e inondazioni. Le zone umide come le foreste di mangrovie e le saline e le paludi vicino alla costa possono aiutare a contrastare questo problema. Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California Santa Cruz, le saline e le paludi hanno ridotto i danni alle case provocati dall’uragano Sandy sulla costa orientale degli Stati Uniti nel 2012 per un totale di 625 milioni di dollari (514 milioni di euro). In alcuni punti, i danni sono stati evitati fino al 70%. La ragione è chiara: esse riducono la forza delle onde.

Le zone umide in Italia

Al momento nel nostro paese sono stati riconosciuti 53 siti tutelati dalla Convezione, fra cui le Oasi WWF di Orbetello, Burano, Le Cesine, Bolgheri, Torre Guaceto e Lago di Angitola.  Nonostante questo, nell’ultimo secolo il 64% delle zone umide del nostro Paese è stato distrutto, il 41% dei fiumi italiani presentano uno stato di conservazione inadeguato e l’80% dei nostri laghi non presenta un buono stato ecologico come previsto dalle norme Europee.

I 5 motivi per cui sono fondamentali per gli ecosistemi di tutto il mondo

  1. Sono vere e proprie nursery. Il 40% delle specie vive e si riproduce nelle zone umide.
  2. Sono i “reni” della Terra perché sono capaci di filtrare gli inquinanti presenti nelle acque
  3. Contrastano i cambiamenti climatici perché assorbono il 30% della CO2 prodotta dalle piante
  4. Riducono il rischio di disastri naturali
  5. Garantiscono la sopravvivenza di un miliardo di persone in tutto il mondo.

Partecipa al contest fotografico

Per celebrare la Giornata mondiale delle zone umide, la Fondazione MEDSEA, all’interno del progetto di destinazione Maristanis, dal oggi al 9 febbraio ha lanciato su Instagram il contest fotografico World Wetlands Day Sardegna con l’hashtag #WWDSardegna per condividere foto e parole sugli stagni dell’isola e aumentare la consapevolezza sull’importantissimo ruolo che ricoprono di protezione del nostro ecosistema e della biodiversità.

In palio anche alcuni premi come binocoli professionali, zaini, borraccee cappellini. Per maggiori informazioni clicca qui

Fonti di riferimento: Worldwetlandsday, Ministero dell’ambiente, ChangeClimateChange

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