C6O4: il sostituto dei Pfas altera geneticamente le vongole, lo studio

Da una recente ricerca condotta dall'Università di Padova e pubblicata su Environmental International, è emersa un'alterazione dei geni legati a processi biologici nelle vongole veraci, a seguito dell’esposizione al C6O4 (sostituto dei Pfas).

Sono ormai noti i rischi per la salute e per l’ambiente legati ai controversi Pfas, sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, usate prevalentemente in campo industriale. Recentemente questi composti chimici dagli effetti tossici sono stati sostituiti, in alcuni casi, da una nuova sostanza chiamata C604. Ma è davvero così sicura rispetto ai Pfas? A quanto pare no. A lanciare l’allarme è una ricerca condotta dall’Università di Padova, da cui emerge un’alterazione dei geni legati a processi biologici nelle vongole veraci, a seguito dell’esposizione al C6O4.

L’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto ha rilevato alti livelli di C6O4 in acque sotterranee e nel fiume Po. Tuttavia, come spiegato dall’Università di Padova, al momento non esiste alcuna documentazione scientifica relativa alle conseguenze del C6O4 sull’uomo e sull’ambiente, e non vi è alcuna regolamentazione del suo uso. 

“I nostri risultati mettono in evidenza le alterazioni causate del C6O4 su una specie animale importante a livello ecologico e commerciale che, in quanto organismo ‘sentinella’, può riflettere lo stato di salute ambientale. Tuttavia ancora non sappiamo quali effetti questa sostanza abbia sull’uomo e sulla sua salute” sottolinea il professor Tomaso Patarnello, coordinatore dello studio. 

Ma secondo Solvay, la multinazionale che ha sviluppato e brevettato il composto chimico, il C6O4 è decisamente più sicuro rispetto ai PFAS.

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I risultati inquietanti della ricerca 

Il nuovo studio che si focalizza sugli effetti del C6O4 sulle vongole veraci è stato appena pubblicato su Environmental International, una della più prestigiose riviste scientifiche di studi ambientali. A condurre la ricerca, la prima di questo genere, è stato il Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione (BCA) e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRSA-CNR, Brugherio), 

“I risultati del nostro studio dimostrano chiaramente che il C6O4 altera in modo significativo, e per alcuni versi ancora maggiore del PFOA, i processi biologici della vongola filippina (o vongola verace)” — spiega il professore Tomaso Patarnello — “Questa specie, oltre ad essere molto apprezzata sulle nostre tavole è un organismo chiave per l’ecosistema lagunare anche in ragione del fatto che è un organismo filtratore e quindi accumula le sostanze presenti nell’acqua. Può essere quindi considerato un organismo sentinella e le alterazioni dopo l’esposizione al C6O4 osservate nell’espressione dei geni della vongola legati a processi biologici fondamentali come la risposta immunitaria, lo sviluppo del sistema nervoso o il metabolismo lipidico sono dati molto allarmanti.”

Il problema principale legato al C6o4 scaturisce dall’assenza di regolamentazione sul suo utilizzo. 

“Il fatto che questa sostanza venga usata senza nessun limite di legge assumendo che non abbia effetti sugli organismi esposti è chiaramente contraddetto dai dati sperimentali” fa notare il professore Massimo Milan, che ha seguito la parte sperimentale del progetto.

La nota dell’azienda Solvay sul C6O4

Lo scorso giugno, la multinazionale Solvay – che ha brevettato il C6O4 – è intervenuta per placare le polemiche scoppiate a seguito del ritrovamento di Pfas e C6O4 in una falda acquifera in provincia di Alessandria con le seguenti precisazioni: 

“È falso affermare che il C6O4 presenti le stesse criticità del PFOA e che il C6O4 sia cancerogeno e bioaccumulabile. Il C6O4 non ha le stesse caratteristiche del PFOA ed è una sostanza chimica completamente diversa. Sulla base dei dati in nostro possesso, il C6O4 possiede un profilo tossicologico migliore. Inoltre, i dati disponibili, indicano che il C6O4 non è biopersistente e non è bioaccumulabile”.

Ma la ricerca veneta, appena pubblicata, non è affatto rassicurante. 

Fonte: Università di Padova

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