Cosa dovrebbe fare la tua azienda prima di redigere il bilancio di sostenibilità

Prima di redigere il Report di Sostenibilità le aziende hanno bisogno di analizzare la propria struttura e le proprie strategie e dimostrarsi capaci di mettersi in discussione. Standard, questionari, rating e metodologie di analisi, uniti alla consulenza strategica e agli investimenti sulla formazione, possono fungere da linee guida per la ristrutturazione dei principi e delle priorità in azienda.

Conseguire traguardi e risultati concreti ripensando il percorso e le strategie

In un precedente articolo (clicca qui) abbiamo esposto un punto di vista tendenzialmente controcorrente, nel contesto di una diffusa frenetica rincorsa da parte delle aziende all’ottenimento del Report di Sostenibilità. La realizzazione del report, infatti, dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso di revisione aziendale e di ricostruzione di strategie in ottica di sostenibilità, funzionali al raggiungimento di un livello virtuoso rendicontabile attraverso i criteri ESG.

Quando questo percorso viene fatto al contrario, mettendo il carro davanti ai buoi con la realizzazione del report senza basi di sostenibilità concrete, i report che ne derivano sono testimoni della scarsa preparazione al tema da parte delle aziende: testi copiati ed incollati anno dopo anno, informative di rendicontazione mancanti e mal giustificate, informazioni imprecise quando non del tutto scorrette o false, documenti esageratamente lunghi o comunque poco leggibili, assenza di personalizzazione, sono solo alcune delle falle riscontrabili in uno story-telling di sostenibilità ancora diffusamente immaturo.

Oltre a ciò, va considerato che il percorso che andrebbe intrapreso per giungere al report non è uniforme, ma calato su ogni diversa azienda, sì declinato sugli standard esistenti, ma coerente e personalizzato. Non è sufficiente analizzare questionari e liste di requisiti e mettere la spunta in base alle proprie adempienze.

Valutazione preliminare e analisi delle potenzialità

Se è vero che una soluzione comune ed univoca a tutte le imprese per raggiungere la sostenibilità non esiste, c’è tuttavia un percorso ampiamente consigliabile ed applicabile che prevede tappe essenziali. Ne abbiamo parlato con Marco Piermarini e Giulia Safina, consulenti in Combais SB.

Quali sono i primi passi per definire gli obiettivi corretti?

L’idea di base è che l’azienda debba dapprima concentrarsi sulla costruzione di una propria strategia e di una propria cultura organizzativa volta alla sostenibilità. Questo è possibile – afferma Piermarini – attraverso un assessment (una prima valutazione a largo spettro) e un’analisi interna del clima, di ciò che è presente e di ciò che manca a livello normativo anche alla luce delle richieste del mercato. La messa a terra di tali analisi richiede all’imprenditore un’attenzione prima di tutto agli individui, alle persone, intese come valore aggiunto per la propria azienda, ognuno con le proprie capacità e passioni, hard e soft skill. Si delinea per l’imprenditore un nuovo task: dimostrarsi proattivo e propositivo facendo salire a bordo i referenti aziendali ed i consulenti necessari alla creazione di un team in grado di individuare e fissare obiettivi condivisi di sostenibilità

Spesso non è tutto da buttare. Come valorizzare il potenziale già esistente?

In certi contesti quello che manca è un coordinamento e una buona comunicazione interna ed esterna – suggerisce Safina. Parlando con gli imprenditori e con le prime linee, capita spesso di rendersi conto (e di far rendere conto l’azienda stessa) che i punti su cui incardinare la crescita della sostenibilità aziendale sono già presenti come azioni o strategie interne. Si tratta a volte di caratteristiche latenti, iniziative poco condivise, comunicate e conosciute dai dipendenti, che vanno invece divulgate, fatte comprendere, e valorizzate. É necessario quindi implementare un dialogo costruttivo tra i vari referenti affinché i singoli progetti siano parte di un piano d’azione condiviso a lungo termine che garantisca coerenza e una corretta diffusione interna ed esterna.

Le persone come punta di diamante del potenziale aziendale. L’imprescindibilità del processo di formazione

Il percorso di autovalutazione e di identificazione dei temi rilevanti per l’azienda va svolto in sinergia con le risorse umane. In un mercato e in una società in continuo mutamento le persone che popolano e sostengono l’azienda hanno un ruolo chiave nell’individuazione e nel mantenimento dell’identità aziendale, strumento strategico ed essenziale per la competitività. 

L’esperienza del Covid – prosegue Piermarini – ha acuito ancora di più il bisogno della persona di avere un proprio piano di vita, un’identità chiara nel contesto aziendale che sia in grado di generare un ambiente sano per lo sviluppo dell’individuo”.

In che modo coinvolgere e fare salire a bordo i dipendenti?

L’analisi di materialità che caratterizza il processo di rendicontazione con il GRI Standard e con l’ESRS è indispensabile per individuare i temi rilevanti per l’azienda. Per metterla in atto c’è bisogno del coinvolgimento sì delle prime linee e delle figure dirigenziali e quadro aziendali, ma l’organico nella sua interezza ha necessità di essere reso consapevole e partecipe dei processi di identificazione dei temi e degli impatti. Per fare un esempio, la rendicontazione delle emissioni di gas climalteranti (GHG) dell’organizzazione, indispensabile per la decarbonizzazione dell’azienda, trova efficace realizzazione solo qualora tutto il personale viene coinvolto e sensibilizzato sul tema, sulle motivazioni e sugli obiettivi. Richiedere dati di attività a personale che, seppur digiuno di conoscenze specifiche nel settore della sostenibilità ambientale, è stato sensibilizzato con un percorso di coinvolgimento concreto e autentico, può risultare più efficace e risolutivo rispetto al farlo con dipendenti non coinvolti, non ingaggiati, non responsabilizzati. Un’attività, quella della formazione, che in chiave ESG arricchisce l’azienda e crea valore sia in ottica di sostenibilità ambientale (E) che sociale (S), in perfetta aderenza alle richieste dei più recenti standard.

Il filo rosso che contraddistingue chi sta centrando l’obiettivo

In questo contesto di incertezza e di fase di rodaggio degli strumenti di rendicontazione, ci sono tuttavia anche numerosi esempi virtuosi di aziende sostenibili, che stanno già facendo bene, e che sono riconoscibili da connotati e condotte peculiari.

Chi ci crede veramente e vuole investirci, su cosa può contare per sentirsi confidente?

La transizione verso un nuovo modello di business sostenibile non deve vedere un freno in vincoli o incertezze normative, in quanto una volta definiti KPI e valori, l’azienda sarà comunque facilitata nel rendicontare ciò che fa attraverso gli indicatori stabiliti dall’UE. Infatti, la creazione di valore, non essendo legata al raggiungimento di uno specifico vincolo normativo, permette all’impresa di percorrere la strada per la costruzione di un’identità che poi può affermarsi nel mercato. L’azienda che sta creando un suo specifico percorso non corre il rischio che gli investimenti fatti, il tempo dedicato e gli obiettivi raggiunti non abbiano una loro validità. Quando si crede in un certo obiettivo e lo si comunica al mercato in maniera chiara e forte, condividendo elementi valoriali che guidano l’azienda a quelle determinate scelte, è improbabile che le norme o i vincoli che cambiano possano influenzare in maniera radicale il suo cammino. Già questo approccio e questo atteggiamento sono tra i segni distintivi di chi centra l’obiettivo sostenibilità.

Andare oltre il Business As Usual. Come si declina in termini di ESG?

Dapprima, creare cultura in azienda e creare valore, in un secondo momento, rendicontare.

Sul tema ambientale, un esempio può essere l’efficientamento energetico e degli immobili, spesso reso più appetibile da politiche di incentivi. Ebbene, per pensare alla sostenibilità in termini di “E”, di Environment, questo approccio non è sufficiente, ma va ampliato. Ad esempio adottando una visione del tema a 360 gradi e un atteggiamento organico in ottica di generazione di valore aggiunto, partendo dall’analisi dell’esistente con uno studio delle emissioni di Gas ad Effetto Serra (GHG) o meglio ancora di tutti gli impatti sull’ecosistema, grazie alla metodologia Life Cycle Assessment (LCA). L’obiettivo è avere contezza del ruolo e delle responsabilità dell’azienda lungo l’intero ciclo di vita del suo prodotto e del suo operato, senza trascurare i temi scottanti (“rilevanti” per usare un termine noto a chi rendiconta con GRI e ESRS), e assumendosi tutte le responsabilità del caso.

E rispetto all’ambito Social? Cosa si può fare?

Il rischio, spesso, è di scadere nel limitarsi a produrre semplici piani di assistenzialismo senza una vera valorizzazione delle risorse umane – prosegue Safina. Il primo passo per iniziare a parlare di Welfare in azienda è quello di mettersi in posizione di ascolto: analizzare le esigenze e le preferenze dei dipendenti, capirne le reali volontà anche in ottica di attuare un piano welfare tailor-made, quindi non uguale per tutti ma che sia diversificato ad esempio per fasce di età, per carriera, per obiettivi, magari modulabile e modificabile.

Ancora, va considerato che la normativa sul welfare non è stabile per cui è l’azienda a doversi fare portavoce e gestore proattivo di queste politiche aziendali. Questo perché, post covid, la normativa italiana ha continuato ad oscillare con concessioni da parte dello Stato che avevano anche lo scopo di combattere la perdita di potere d’acquisto delle persone dettata dall’inflazione in crescita. Come conseguenza, ogni anno sono stati modificati i plafond ed i parametri dei fringe benefit

Una guida per le linee di indirizzo, per chi tiene le redini. Come agire sulla Governance?

All’imprenditore è necessario un punto di vista organico e completo, che gli permetta di agire con un approccio sinergico. Tra gli strumenti che non possono mancare nell’impostazione di un’azienda sostenibile c’è ad esempio il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, ex D.lgs. n. 231/01. L’adozione di questo modello consente di prevenire l’applicazione di gravi sanzioni da parte dell’autorità giudiziaria, qualora un organo societario, un dipendente o un collaboratore abbia commesso un reato. Inoltre, il modello è efficace nell’esclusione della responsabilità civile degli amministratori e della responsabilità penale dell’amministrazione, nell’offrire maggiore appeal aziendale sul mercato e nei rating di legalità, nell’accesso al credito bancario e nella rilevanza nell’attività di due diligence. È essenziale che il modello 231 sia declinato in modo coerente sulla specifica azienda, personalizzato e non preso e spalmato tal quale da un’azienda a un’altra.

Un’ultima battuta. Cos’è questo “valore” citato più volte?

Le aziende nascono per una valida idea imprenditoriale, spesso per soddisfare bisogni primari o secondari delle persone; in passato questo avveniva senza considerare il loro impatto sociale. La rivoluzione industriale dell’800 ha comportato un salto epocale nella produzione di beni e servizi, ma soltanto nei secoli successivi ci si è preoccupati dell’inquinamento e delle conseguenze per i lavoratori nelle aziende. La nostra visione è che oggi non può esistere un business che generi un impatto negativo al contesto in cui opera, deve esserci un delta positivo non solo per i suoi prodotti nel mercato, ma anche per la sua catena di realizzazione. Quando nasce, deve generare un valore positivo non solo per il suo output, ma anche per il processo, contenendo eventuali negatività e pensando a compensarle anche per i propri lavoratori. Questa visione del mondo aiuta a neutralizzare qualsiasi rischio di cambi di direzione normativa e conduce a modelli di successo imprenditoriale sicuro, perché preserva le 3P: Persone, Pianeta e Profitto!

Di Luca Rossi, Marco Piermarini, Giulia Safina

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