Solo 1 vestito usato su 10 viene raccolto in Italia. Appena il 12% degli indumenti viene correttamente differenziato, diventando riutilizzatile. Una cifra molto bassa se si considera che nel nostro paese la raccolta di abiti e accessori usati è di circa 1,6 kg per persona all'anno, contro i 14 kg della media europea
Solo 1 vestito usato su 10 viene raccolto in Italia. Appena il 12% degli indumenti viene correttamente differenziato, diventando riutilizzabile. Una cifra molto bassa se si considera che nel nostro paese la raccolta di abiti e accessori usati è di circa 1,6 kg per persona all’anno, contro i 14 kg della media europea.
È quanto è emerso ieri nel corso del Convegno “La cultura del riutilizzo eccellenza della Green Economy – La raccolta degli abiti usati per una nuova etica d’impresa”, organizzato a Roma presso la Camera dei Deputati da HUMANA People to People Italia Onlus.
Secondo lo studio, in Italia nel 2012 sono state raccolte in maniera differenziata 99.900 tonnellate di rifiuti tessili, pari al 12% del totale raccoglibile. Di queste, il 68% è stato riutilizzato, il 25% riciclato e solo il 7% è stato avviato a smaltimento.
Ma, per una volta, non è tutta colpa dei cittadini. Manca infatti un quadro normativo in grado di regolare e gestire in maniera corretta gli abiti usati attraverso il controllo di tutta la filiera. Ciò, secondo la presidente di HUMANA, Karina Bolin “potrebbe portare a un incremento della raccolta fino a 3-5 kg/persona, pari a 240.000 tonnellate”.
E i vantaggi sarebbero molteplici. In primo luogo per l’ambiente ma anche per le amministrazioni pubbliche che potrebbero ridurre la spesa legata allo smaltimento dei rifiuti: “Ora invece i Comuni si ritrovano spesso a gestire la raccolta in emergenza e interpretando la legge, perché il testo unico dell’ambiente non disciplina in maniera completa il settore della frazione tessile” spiega.
Al contrario, le PA dovrebbero incrementare la raccolta dei vestiti, riducendo la percentuale di frazione tessile che confluisce nel rifiuto urbano indifferenziato. Senza contare che tale settore è storicamente legato a scopi sociali. Grazie alla raccolta di vestiti usati, infatti, si riescono a svolgere attività sociali ed umanitarie in Italia ed all’estero a titolo gratuito per la collettività e con un vantaggio sociale maggiore rispetto al valore economico della raccolta stessa.
“Tra le nuove frontiere dell’ecomafia, bisogna annoverare il traffico di rifiuti derivanti dalla dismissione di indumenti usati” ha aggiunto il direttore di Legambiente, Rossella Muroni, che ha partecipato al convegno. “Il materiale recuperato dalla raccolta porta a porta, infatti, dovrebbe essere destinato a trattamento igienizzante e poi destinato a un centro per la rivendita o lo smaltimento, secondo la legge. La criminalità organizzata invece, spesso con la complicità delle aziende produttrici dei rifiuti, preleva gli abiti scartati, seleziona il rivendibile senza effettuare nessun trattamento igienizzante e smaltisce illegalmente il resto, che spesso finisce disperso nell’ambiente o viene bruciato“.
Francesca Mancuso
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