I giubbotti di salvataggio trasformati in bellissime borse dai rifugiati siriani

Ricordate i giubbotti di salvataggio abbandonati sulle spiagge greche da rifugiati disperati? Adesso un’impresa sociale olandese li trasforma in borse e custodie per pc dando lavoro proprio a chi è fuggito dalla guerra civile siriana.

Ricordate i giubbotti di salvataggio abbandonati sulle spiagge greche da rifugiati disperati? Adesso un’impresa sociale olandese li trasforma in borse e custodie per pc dando lavoro proprio a chi è fuggito dalla guerra civile siriana.

I vecchi giubbotti di salvataggio si trasformano attraverso un processo creativo che fa bene all’ambiente e dà vita a una filiera di economia circolare: un rifiuto che viene salvato dalla spazzatura, viene reinventato e poi venduto.L’idea è dell’impresa sociale olandese Makers Unite che ha già portato 5mila giubbotti ad Amsterdam e iniziato un programma di coaching di sei settimane per aiutare i rifugiati a iniziare una carriera nei Paesi Bassi.

“Diamo una seconda possibilità sia ai nuovi arrivati che a questo materiale di scarto. Speriamo che i nostri prodotti creino consapevolezza e al tempo stesso aiutino queste persone a costruire un futuro”, spiega Thami Schweichler, direttore e co-fondatore di Makers Unite.

Tra i tanti che lavorano c’è anche Ramzi Aloker, 46 anni, che a Damasco faceva lo stilista di abbigliamento femminile.

“Quando lavoro, penso alle persone che indossavano questi giubbotti di salvataggio. Chi erano e cosa è successo a loro? Ricordo anche il mio viaggio. Il mare oscuro e le ripide montagne greche”, dice Aloker.

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Foto: Thessa Lageman

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Foto: Stratis Balaskas/EPA

Nel 2015, 850mila rifugiati sono arrivati in Grecia via mare. Oltre mezzo milione nell’isola di Lesbo e tra i tanti problemi c’era anche quello di questi giubbotti abbandonati sulla costa. Makers Unite ha trovato il modo di smaltire questo rifiuto inquinante offrendo una fonte di reddito a breve termine ai rifugiati.

L’attività, infatti, vuole essere solo un trampolino di lancio per dare una speranza a queste persone. Il 10% dei partecipanti al progetto ha già trovato un altro lavoro, mentre molti altri hanno iniziato stage o programmi educativi. Quindi riassumendo un’idea vincente che fa bene all’ambiente e offre impiego e formazione.

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Foto: Thessa Lageman

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Sul sito di Makers Unite si possono trovare tutti i prodotti realizzati, ne vengono venduti 100-200 al mese, ma è questo tipo di approccio che può offrire soluzioni a quello che è un problema molto spinoso.

“Ai clienti piace che abbiamo creato qualcosa di positivo da una situazione così difficile. Penso che molti comprino i nostri prodotti per questo motivo, una sorta di dichiarazione contro le politiche anti-immigrazione dei loro governi”, afferma Schweichler.

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Dominella Trunfio

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