Carbon Footprint: negli USA la coltivazione indoor di cannabis “manda in fumo” 5 miliardi di dollari di energia elettrica

Nel rapporto “Energia in fumo: l’impronta ecologica della produzione indoor di cannabis” stilato da Evan Mills del Dipartimento Energetico ambientale della Lawrence Berkeley National Laboratory, infatti, emerge come la produzione indoor di cannabis utilizzi ben l’1% dell’energia elettrica degli Stati Uniti ovvero ben 5 miliardi di dollari l’anno, è proprio il caso di dire, se ne “vanno in fumo”. Per intenderci, visto che l’1% potrebbe non sembrare tantissimo, il rapporto sostiene che, conti alla mano, uno spinello consumi l’equivalente di energia elettrica di una lampadina da 100 watt tenuta accesa per 17 ore che tradotta in emissioni di CO2 equivarrebbe a due chili di anidride carbonica.

Gli ecologisti-fumatori di cannabis dovranno prenderne atto: l’erba potrebbe non essere così verde! Un nuovo studio rivela come la produzione di marijuana indoor abbia un impatto ambientale davvero notevole.

Nel rapporto “Energia in fumo: l’impronta ecologica della produzione indoor di cannabis” stilato da Evan Mills del Dipartimento Energetico ambientale della Lawrence Berkeley National Laboratory, infatti, emerge come la produzione indoor di cannabis utilizzi ben l’1% dell’energia elettrica degli Stati Uniti ovvero ben 5 miliardi di dollari l’anno, è proprio il caso di dire, se ne “vanno in fumo”.
Per intenderci, visto che l’1% potrebbe non sembrare tantissimo, il rapporto sostiene che, conti alla mano, uno spinello consumi l’equivalente di energia elettrica di una lampadina da 100 watt tenuta accesa per 17 ore che tradotta in 2“>emissioni di CO2 equivarrebbe a due chili di anidride carbonica.

Secondo la relazione, infatti, ogni modulo di produzione 4×4 impiegato per la coltivazione indoor di marijuana raddoppierebbe l’uso di elettricità di una casa media statunitense e triplicherebbe quella di una media casa in California, dove grazie al tempo più mite i consumi sono nettamente minori. In pratica, la corrente in più impiegata dagli americani che, per sfuggire ai controlli e coltivare al sicuro della propria casa, corrisponderebbe all’equivalente di circa 30 frigoriferi, ovvero in termini di emissioni, 3000 volte il peso della marijuana prodotta.

Al contrario di quel che si potrebbe pensare, lo studio non è stato fatto con l’intenzione di scoraggiare la coltivazione indoor tout court, ma per metterne in evidenza la poca efficienza energetica. Mills ci tiene a precisare, infatti, che non è la produzione di cannabis ad essere di per sé inquinante, ma piuttosto l’inefficienza energetica delle attuali produzioni che, attraverso alcune migliorie, potrebbero ridurre drasticamente i consumi di elettricità, fino addirittura al 75%.

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Ad esempio, già spostando all’aperto la coltivazione, verrebbe eliminato il problema del consumo di energia elettrica, anche se probabilmente si incorrerebbe in altri problemi di carattere legale (negli Stati Uniti la coltivazione di marjiuana è permessa solo in 11 stati per scopi terapeutici).

La rivista americana Fast Company sostiene per questo che tale relazione sia un’ulteriore prova che la marijuana debba essere legalizzata in modo che la gente possa finalmente “gettare uno sguardo critico sul suo consumo di energia” e “seguire le orme del settore commerciale agricolo, che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante in termini di efficienza energetica. “

Effettivamente anche Mills nella sua relazione scrive che la criminalizzazione contribuisce a pratiche energetiche inefficienti che con la legalizzazione verrebbero risparmiate, come ad esempio gli impianti di ventilazione per nascondere l’odore delle piante.

Ma Mills si guarda bene da giungere a tali conclusioni: “spetta ad altri decidere le conclusioni di questo rapporto”. Una cosa però per il ricercatore è certa: in un modo o nell’altro la produzione indoor di cannabis deve cercare di ridurre la sua impronta di carbonio.

Simona Falasca

Per scaricare il rapporto completo in pdf clicca qui

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