ci sono città in cui i beni immobiliari demaniali in disuso occupano ancora spazi centralissimi che potrebbero essere svuotati, valorizzati, riqualificati e restituiti alla collettività in termini di servizi, case popolari, parchi, scuole, uffici. Le caserme hanno sicuramente un ruolo preponderante.
Viaggiando lungo la penisola, a chiunque sarà capitato di passare a fianco a ville, caserme o terreni in grave stato di abbandono. Chi può permettersi il lusso di lasciare in quelle condizioni, beni di così grande valore – ci si sarà chiesto? La domanda non può essere che una: il Governo della Repubblica.
Così è stato per decenni finché nel 1989 un raggio di sole colpì la mente dell’allora Ministro delle finanze, l’on. Paolo Cirino Pomicino: “In Italia è esploso il debito pubblico? E allora cominciamo a vendere i gioielli di famiglia. Mettiamo sul mercato gli immobili dello Stato.” Nacque così l’Agenzia del Demanio che cominciò a censire il patrimonio pubblico, dato che non si sapeva neppure cosa ci fosse in casa. Ne venne fuori un portafoglio di 30.000 beni, metà indisponibili, per esempio le sedi di ministeri, uffici pubblici, musei, castelli, e metà da valorizzare o dismettere, 2.500 di questi considerati ad alta potenzialità di valorizzazione. Cos’è stato fatto in questi vent’anni? La macchina si è mossa e negli ultimi 5 anni è riuscita a incassare 6 miliardi di euro tra vendite, canoni, indennità per locazioni e concessioni.
Tuttavia la strada è ancora lunga e ci sono città in cui i beni immobiliari occupano ancora spazi centralissimi che potrebbero essere svuotati, valorizzati, riqualificati e restituiti alla collettività in termini di servizi, case popolari, parchi, scuole, uffici. Le caserme hanno sicuramente un ruolo preponderante. Ereditati dalla novella Repubblica Italiana da quello che fu l’impero asburgico, lo Stato della Chiesa, il regno sabaudo e borbonico, il Granducato Toscano, sono ancora lì a difendere ciò che non necessita più di alcuna difesa.
l quadrilatero di Radetzky è ancora lì, incardinato tra le piazzaforti di Verona, Mantova, Legnago, Peschiera. Prendiamo Verona. Splendida città capitale della lirica italiana, vede una buona parte del suo centro occupato da una serie di caserme a poche centinaia di metri dall’arena. A est, l’Università ha da pochi anni rilevato la caserma Santa Marta che dovrà essere ristrutturata.
Ma è ancora attiva la caserma Passalacqua, che ha al suo interno un intero parco, che potrebbe essere destinato all’uso civile andando a riqualificare così un quartiere, quello di Veronetta, che appare oggi degradato, con problemi di convivenza con i numerosi immigrati.
Dall’altra parte della città ci sono degli uffici della NATO, davanti a cui, periodicamente, gruppi di pacifisti o militanti politici organizzano delle manifestazioni, a discapito dell’immagine romantica della città di Romeo e Giulietta per i turisti. Non potrebbero questi uffici trovare spazi più idonei e più facilmente raggiungibili dalle camionette grigioverdi in delle zone più esterne della città?
A pochi metri, sotto Castelvecchio ecco l’ospedale militare, anche questo in disuso, più altre caserme della fanteria, sempre dentro l’antica cerchia muraria. L’elenco potrebbe continuare. A Padova la situazione non è migliore. Le caserme sono ovunque tutt’attorno il centro storico, spessissimo entro le mura cittadine.
Annosa qui è la vicenda della caserma Prandina, un cuore verde su cui crescono varie essenze erbacee selvatiche con alcuni capannoni. Un funzionario della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo ci racconta si era ventilata l’ipotesi si realizzare il nuovo auditorium di Padova, con ampia dotazione di parcheggi e parco antistante. Con il cambio di amministrazione, l’ipotesi è stata abbandonata e il nuovo auditorium, se si farà, verrà edificato nell’area di Piazzale Boschetti, ora stazione degli autobus. Nell’area della Prandina, dopo l’acquisto da parte di un privato si pensa di realizzare un parco attrezzato e parcheggi. Tuttavia, dopo anni di discussioni, la Prandina è ancora lì in attesa di idee, soldi e decisioni concordate.
In realtà è tutto il Nord Est, da Bolzano a Trieste ad essere in questa situazione. Non che in Sicilia manchino esempi di casematte abbandonate ma il Nord Est, avendo avuto una funzione di difesa nei confronti degli indipendentisti italiani prima, dell’Austria dopo e del pericolo comunista più recentemente, è stata oggetto di una vera e propria colata di mattoni e cemento a fini militari.
I possibili riutilizzi sarebbero molti, come parchi, piste ciclabili, uffici pubblici, teatri, spazio per eventi, in base alle necessità locali. Con la partecipazione della cittadinanza, si possono evidenziare le esigenze localmente sentite per trasformarle in piani e programmi da attuare attraverso strumenti finanziari come il project financing che vedono la partecipazione di capitale pubblico e privato e il controllo da parte di istituti di credito specializzati.
Tuttavia, anche se grandi passi sono stati compiuti, molto resta ancora da fare. Larghi tratti dei nostri litorali sono ancora parte del demanio indisponibile e i tempi per il loro eventuale recupero sono inevitabilmente lunghi e dall’esito incerto.
Allora, oltre al piano Casa, il Governo potrebbe quindi prevedere anche un “Piano caserme” per favorire lo svincolo delle aree demaniali, la loro dismissione e riqualificazione in base alle proposte che via via arriveranno dalle locali amministrazioni territoriali. Si potranno così aprire nuove strade e piste ciclopedonali, si potranno ricavare nuovi teatri di quartiere, biblioteche ed emeroteche, nuove case popolari e nuovi asili potrebbero prendere il posto di guardiole e armerie, che ormai, per fortuna, non possono più difendere nessuno.