Prendendo spunto dalla Pacific Garbage Patch, gli architetti olandesi della Whim Architecture hanno presentato un progetto per costruire un'isola galleggiante fatta di rifiuti, completamente abitabile e autosufficiente
Avete presente la Pacific Garbage Patch? Si tratta di una gigantesca “isola” galleggiante formata esclusivamente da spazzatura che per un gioco di correnti si è unito creando un vero e proprio continente di rifiuti che naviga sull’oceano e che avevamo anche menzionato nel nostro articolo sui maggiori disastri ambientali creati dall’uomo.
- la pulizia degli oceani,
- la realizzazione di un habitat sostenibile
- la creazione di una nuova terra.
All’interno di Recyled Island sorgerebbero così abitazioni completamente sostenibili, ma anche aree coltivabili, luoghi ricreativi, di turismo e vita urbana. Le alghe marine, ad esempio, sarebbero perfette come risorsa coltivabile e potrebbero essere utilizzate per alimenti, fertilizzanti, bio-carburante e anche per incrementare la fauna di pesci intorno all’isola. Questi “geni” olandesi vogliono creare un “mondo” autosufficiente, non inquinante, dove la popolazione che lo abiterà potrà essere nel vero senso della parola autarchica, auto-producendo e auto-consumando tutto ciò di cui necessita.
Le dimensioni dell’isola, secondo gli architetti, dovrebbero ispirarsi a quelle dell’arcipelago delle Hawai, mentre il luogo ideale dove farla nascere sarebbe proprio nel Pacifico settentrionale, la parte di oceano dove i rifiuti aleggiano in assoluto in massiccia quantità. Crearla lì, infatti, permetterebbe di usufruire immediatamente dei materiali necessari senza esageratamente averne bisogno di altri, riducendo oltretutto costi e spese di trasporti eventuali. La Garbage Patch, quindi, avrà finalmente un suo scopo: scomparire e dar vita ad un contesto veramente abitabile.
Pura utopia? Non proprio. La Recycled Island non è solo un sogno. In passato, già ci sono state positive esperienze che hanno dimostrato – in un certo qual modo – la possibilità di riutilizzare in modo intelligente la plastica dispersa nel mare. Nel 1998, infatti, il britannico Richart Sowa realizzò “Spiral Island”. Un’isola artificiale situata nella laguna vicino Puerto Aventuras, sulla costa caraibica del Messico. Questo eco-architetto prese moltissime bottiglie di plastica che galleggiavano al largo di quelle coste, le mise insieme e unendole ad una struttura di compensato e bambù fece nascere un ecosistema galleggiante, abitabile, dove specie vegetali potevano benissimo crescere e svilupparsi. Vi era anche un forno solare e un sistema di compostaggio altamente ottimale. Purtroppo, però, l’artigianalità dell’opera si fece sentire in occasione dell’uragano Emily del 2005. Venne spazzata via e scomparve.
Gli architetti dei Paesi Bassi sembrano, senza dubbio, in grado di mettere in piedi un progetto – presentato per la prima volta al Lost & Found di Amsterdam -molto più scientifico che potrebbe benissimo arginare anche problemi legati a tifoni ed uragani. Per questo sono alla ricerca di diverse figure professionali che li aiutino a tramutarlo in realtà: dall’oceanografo al chimico per il riciclo della plastica, all’ingegnere civile per la costruzione dell’ecosistema galleggiante.
L’uomo è incurante della sua terra, continua a sporcarla e non rispettarla. Che possano essere, quindi, gli Oceani i nostri habitat futuri? Ai posteri l’ardua sentenza.
Alessandro Ribaldi