Sono serviti venticinque anni, e innumerevoli minacciose notizie sul futuro del pianeta, per convincere l’opinione pubblica che l’idea di sfruttare i muri dei grandi palazzi per farne dei giardini non fosse poi così assurda.
Nel 1986, quando realizzò la sua prima opera nella Cité de Sciences a Parigi, Patrick Blanck era un botanico visionario a cui era venuta la strampalata idea di ricoprire di verde una parete verticale del museo. Nel 2001, quando rivestì di piante un muro di 30 metri in un hotel nei pressi delle Champs Elysée la sua fama era giunta alla stregua delle grandi archistar.
Sono serviti venticinque anni, e innumerevoli minacciose notizie sul futuro del pianeta, per convincere l’opinione pubblica che l’idea di sfruttare i muri dei grandi palazzi per farne dei giardini non fosse poi così assurda.
In realtà, l’idea di Patrick Blanck non è nuova alla natura. Egli stesso ammette di aver preso ispirazione da alcuni meravigliosi esempi di piante capaci di crescere sulla roccia, viste in Malesia e Thailandia nel corso dei suoi anni di studio. “Fu una rivelazione – dice in un’intervista rilasciata a La Repubblica qualche tempo fa -. Rimasi talmente affascinato che provai a riprodurre quel tipo di vegetazione sui muri di casa mia, mettendo a punto, in assenza di terra supporti speciali e sistemi di irrigazione appropriati”.
Da quel momento la sua vocazione ha assunto i tratti di una piccola rivoluzione vegetale, grazie alla quale si vedono spuntare immense pareti ricoperte di verde nei centri storici delle città, sui muri di enormi grattacieli della City, su una delle pareti del Parlamento Europeo e attorno ai perimetri di innumerevoli musei.
Tra i progetti che lo hanno reso noto c’è quello realizzato per il Museo di Arte contemporanea di Madrid dove una delle pareti è ricoperta da 24 metri di verde. L’equivalente di 15000 piante e 250 specie diverse. Se pensate che già questa possa essere un’opera monumentale, provate a immaginare un muro di 800mq ricoperto da piante provenienti dal Giappone, dalla Cina, Europa e Stati Uniti. Questa è la dimensione del progetto realizzato per il Museo Quai Branly di Parigi.
Le pareti verticali consentono di sfruttare enormi superfici apparentemente inerti e inutilizzabili, facendole diventare parti vive della città. “La componente vegetale strappa la verticalità all’artificialità restituendone una dimensione vivente più vicina agli uomini” dice Blanck. Ovvio che la scelta di un piano verticale implica conoscenza e capacità di selezione delle specie. Ancor prima che con la biodiversità, Blanck si è dovuto confrontare però con la forza concreta della natura. Le radici delle piante possiedono una potenza tale da distruggere le mura contro le quale sono attaccate e frantumarle. Per evitare questo, non banale, inconveniente, Blanck ha studiato a lungo il comportamento delle piante giungendo alla conclusione che un sistema di irrigazione frequente e regolare consente alle radici di distribuirsi in orizzontale, rimanendo in superficie. Ed evitando così di infiltrarsi in profondità.
A partire da questo fondamento, egli ha ideato un vero e proprio sistema progettuale del peso di 30kg al metro quadro costituito da una base metallica, da un telo in PVC e da uno strato in cartonfeltro. I traversi e i montanti metallici, ancorati al supporto o autoportanti, fanno da base di appoggio (a volte si aggiunge una camera d’aria tra supporto e struttura per favorire l’isolamento degli ambienti). Su di essi, viene steso il telo che serve per omogeneizzare e rinforzare la struttura e il cartonfeltro, che consente di distribuire l’acqua su tutta la superficie.
Perché, se non fosse stato chiaro fino ad ora, nei Giardini Verticali di Blanck, non è previsto l’uso della terra. Solo acqua, con l’aggiunta di sali minerali.
Ma quali sono i reali vantaggi di un giardino verticale? Facile immaginare l’impatto sulla fotografia urbana: vedere una superficie interamente verde immersa in un ambiente insolito come quello cittadino è come avere la sensazione di essere improvvisamente altrove. L’effetto di stupore e spiazzamento percepito dagli astanti è complementare al beneficio ambientale di cui godono sia gli abitanti sia coloro che lavorano negli spazi interni ricoperti dalle superfici verdi.
La presenza di erba sulla parete di un grande edificio consente all’atmosfera di alleggerirsi di anidride carbonica e al sistema di riscaldamento e raffreddamento di consumare di meno. La vegetazione (e l’antica tradizione delle piante rampicanti ne è testimonianza) fa da isolante termico e fonico. Inoltre consente di rimettere in circolo l’acqua piovana e le acque grigie dei palazzi. Qualcosa di simile sta per essere progettato per il nuovo impianto di Abu Dhabi, dove il prato di circa venticinquemila metri quadri sarà alimentato dall’acqua dei condizionatori.
Nel libro “Il bello di essere pianta” (edito da Bollati Boringhieri) () , Blanck che da autore assume il punto di vista proprio di una pianta, sintetizza il dovere di rispettare la natura parafrasando l’ espressione cartesiana: “Cresco quindi esisto”. Un punto di vista, quello di Blanck, che prevede la possibilità di immaginare una co-esistenza tra uomo e natura e non un perenne stato di conflitto e di opposizione.
Pamela Pelatelli
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