Arriva il primo biomattone della storia dell’edilizia, costruito a base di urina umana. Merito di una giovane studentessa in ingegneria civile dell’Università di Città del Capo (Sudafrica), Suzanne Lambert, che ha sfruttato un processo simile a quello che porta naturalmente alla formazione delle conchiglie
Arriva il primo biomattone della storia dell’edilizia, costruito a base di urina umana. Merito di una giovane studentessa in ingegneria civile dell’Università di Città del Capo (Sudafrica), Suzanne Lambert, che ha sfruttato un processo simile a quello che porta naturalmente alla formazione delle conchiglie.
Precipitazione batterica di carbonato di calcio: un reazione biochimica naturale, che sfrutta l’azione di microrganismi per far precipitare il composto chimico noto comunemente come calce (o calcite), usato già da molto tempo nel campo edilizio. D’altronde la tecnica è già usata in alcuni contesti come alternativa green al cemento.
Quello che nessuno aveva mai pensato di fare prima è di generare calce dall’urina umana. Questo è possibile perché alcuni batteri sono in grado di scindere l’urea, principale composto dell’urina, grazie all’azione dell’enzima ureasi, reazione che porta contemporaneamente alla produzione di carbonato di calcio (calce). Il processo, e qui è l’innovazione, è in grado di cementare la sabbia, anche formando dei veri e propri mattoni classici, a forma di parallelepipedo.
La ricerca è totalmente su scala laboratorio, ma se fosse industrializzabile sarebbe un’ottima notizia per l’ambiente, in quanto i mattoni così costruiti sono interamente di natura biologica e per giunta realizzati a temperatura ambiente, contrariamente a quelli in commercio, prodotti tramite cottura in forni a temperature intorno a 1400°C, con emissioni ingenti di anidride carbonica.
La tecnica, inoltre, appare “modellabile” sulle esigenze del cliente. “Se un cliente desidera un mattone più resistente di uno con calcare al 40%, si possono lasciare agire i batteri più a lungo, in modo da rafforzare il solido” ha spiegato a questo proposito Dyllon Randall, supervisore della Lambert e coautore del lavoro.
A onor del vero, il concetto di biomattone non è del tutto nuovo: nel 2011 un’azienda di Lecco fu in grado di produrre una struttura a base di calce e legno di canapa capace di catturare le emissioni di anidride carbonica dall’atmosfera.
E anche l’idea di usare urea per far crescere i mattoni era stata testata negli Usa alcuni anni fa usando soluzioni sintetiche, ma il mattone della Lambert usa per la prima volta urina umana vera, potenzialmente rivoluzionando il riciclo e il riutilizzo dei rifiuti. E non solo per l’urina. Il processo infatti produce come sottoprodotti azoto e potassio, componenti importanti dei fertilizzanti commerciali.
Chimicamente parlando, l’urina è oro liquido, secondo Randall. Rappresenta meno dell’1% delle acque reflue domestiche (in volume) ma contiene l’80% dell’azoto, il 56% del fosforo e il 63% del potassio di queste acque reflue.
Inoltre circa il 97% del fosforo presente nelle urine può essere convertito in fosfato di calcio, l’ingrediente chiave dei fertilizzanti che sostengono l’agricoltura commerciale in tutto il mondo. Questo dato è di particolare importanza perché le riserve di fosfato naturale al mondo si stanno esaurendo (in Europa il fosforo è infatti considerato materia prima critica, a rischio approvvigionamento).
Chiaramente è tutto da ottimizzare, per esempio la questione logistica, in particolare la raccolta delle urine e il loro trasporto. Attualmente si sta pensando di usare come riserva gli orinatori maschili.
“Questo progetto è stato una parte importante della mia vita nell’ultimo anno e mezzo – ha commentato la Lambert – e vedo un grande potenziale di applicazione del processo nel mondo reale”.
“Dati i progressi compiuti nella ricerca qui in UCT, la creazione di un materiale da costruzione veramente sostenibile è ora una possibilità”, ha aggiunto Vukheta Mukhari, altro coautore del lavoro.
L’intero processo si basa sulle ricerche ‘Urine: The liquid gold of wastewater‘ e ‘Microbial induced calcium carbonate precipitation at elevated pH values (>11) using Sporosarcina pasteurii‘, pubblicati sul Journal of Environmental Chemical Engineering.
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Roberta De Carolis