Dai detersivi ai cibi, dai cosmetici all'abbigliamento, dai prodotti bio a quelli solidali, ecco una guida esaustiva per leggere le etichette alimentari e non, il primo vero passo per diventare un consumatore consapevole
Indice
Ingredienti, avvertenze, tabelle nutrizionali, simboli e marchi: le etichette sono un vero e proprio calderone di informazioni, tutte preziosissime ma non sempre altrettanto chiare e veritiere. Ecco perché noi di greenMe.it abbiamo deciso di provare a stilare un piccolo vademecum per cercare di districarci in questa giungla di indicazioni.
Inizieremo con le etichette alimentari, per poi spiegarvi anche quelle dei detersivi e dei capi d’abbigliamento, con un occhio di riguardo a quei simboli e a quelle diciture che ci aiutano a riconoscere, fra tanti, i prodotti più ecosostenibili e attenti all’ambiente.
ETICHETTE ALIMENTARI: cosa devono indicare?
Dal 1982 è obbligatorio per legge che l’etichetta rechi l’elenco degli ingredienti, in modo chiaro e visibile. 10 anni dopo arriva il decreto legislativo n.109 del 27/1/1992, che è il testo vigente e stabilisce i criteri per le etichette dei prodotti alimentari preconfezionati.
Iniziamo allora col vedere cosa dovrebbe contenere un’etichetta alimentare a norma di legge:
- Denominazione di vendita
- Elenco degli ingredienti
- Gli additivi
- Il quantitativo
- Termini di scadenza e modalità di conservazione e di utilizzo
- Chi l’ha prodotto
- Lotto di appartenenza del prodotto
Denominazione di vendita
La denominazione di vendita altro non è che la descrizione del prodotto: gli può essere anche dato un nome di fantasia, ma deve comunque comparire la denominazione univoca (maionese, farina 00, ecc.) in modo che l’acquirente non sia tratto in inganno.
Elenco ingredienti
Le sostanze contenute nel prodotto (compresi additivi e acqua, se supera il 5%) devono essere indicati sull’etichetta in ordine di peso decrescente: perciò il primo ingrediente citato è quello più presente, seguono gli altri fino ad arrivare al meno presente. Quando troviamo la dicitura “in proporzione variabile” vuol dire che nessun ingrediente è prevalente rispetto agli altri. Quando, invece che con il loro nome specifico, gli ingredienti sono segnalati con il nome generico della categoria (es. “formaggio”), allora probabilmente non si tratterà del tipo più pregiato: effettivamente se nel prodotto in questione fosse contenuto, ad esempio, del Parmigiano Reggiano, perché non scriverlo?
Tra gli ingredienti rientrano anche gli aromi e qui occorre una precisazione: quando troviamo scritto genericamente “aromi” significa che si tratta di aromi artificiali, prodotti in laboratorio. Diversamente, se compare la dicitura “aromi naturali” si tratta di essenze, estratti, succhi ottenuti da materie vegetali. Inutile dire che è meglio preferire quei prodotti che contengono aromi naturali…
Cosa sono invece gli additivi?
Si tratta di sostanze (autorizzate dalla legge italiana solo per determinati alimenti e in quantità ben precise) usate per diversi motivi: sono i famosi coloranti, emulsionanti, antiossidanti, edulcoranti. Ne esistono centinaia e ad ognuno corrisponde una sigla (che può essere sostituita dalla dicitura esatta dell’additivo) costituita dalla lettera E e da un numero: le sigle da E100 a E199 indicano i coloranti, quelle da E200 in sù si usano invece per gli altri tipi di additivi. Anche se autorizzati dall’Unione Europea, meglio sempre preferire quei prodotti a più basso contenuto di additivi.
Peso o volume netto del prodotto
L’etichetta deve riportare anche il peso o il volume netto del prodotto; nel caso di prodotti conservati in un liquido di governo deve essere indicato anche il peso sgocciolato. Questa indicazione sta tornando particolarmente attenzionata ora che anche qui da noi aumentano i fenomeni della cosiddetta shrinkflation , la pratica secondo cui viene ridotta la quantità di prodotto rimanendo inalterato il prezzo.
Data di scadenza e modalità di conservazione
Attenzione poi ovviamente alla data di scadenza: la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica che le caratteristiche del prodotto rimangono inalterate fino alla data indicata, dopodiché lo si può comunque consumare ma non se ne assicura l’integrità. Curiosità: non è vietato dalla legge vendere prodotti dopo questa data; in Gran Bretagna ad esempio sta fiorendo il commercio di prodotti “scaduti” a prezzi ribassati.
Quando invece leggiamo “da consumarsi entro“, si tratta di una scadenza vera e propria, dopo la quale il produttore non garantisce più.
La data dovrebbe (regola che purtroppo non sempre viene seguita) essere scritta in modo chiaro e leggibile, con caratteri indelebili e in una posizione facilmente individuabile dal consumatore. Essa deve indicare:
- il giorno, il mese e l’anno per i prodotti conservabili per meno di tre mesi (latte fresco, mozzarelle, yogurt ecc.);
- solo il mese e l’anno per gli articoli conservabili per più di tre mesi ma per meno di 18;
- solo l’anno per alimenti come i pelati o le verdure in scatola conservabili per più di 18 mesi.
L’indicazione non è invece obbligatoria per i prodotti ortofrutticoli freschi, i vini, l’aceto, i superalcolici, il sale da cucina e lo zucchero.
Per i prodotti che hanno bisogno di una particolare conservazione (es. i surgelati) la modalità deve essere sempre indicata, così come il loro corretto utilizzo (es. La dicitura “consumare previa cottura”).
Provenienza del prodotto
Altra informazione fondamentale e che dovremmo tutti imparare a tenere in considerazione è la provenienza del prodotto: il nome del produttore, la sua sede e quella dell’impianto di produzione o confezionamento (se diversa) devono sempre apparire in modo chiaro e leggibile sulle etichette.
Queste informazioni sono, per noi consumatori, molto importanti: da qui possiamo infatti rintracciare la filiera, sapere quanto distante da noi è stato prodotto un alimento e poterci informare sull’affidabilità del suo produttore. Nel caso ci si trovasse davanti ad un prodotto difettoso possiamo (e dobbiamo!) inoltre segnalare agli organismi competenti il lotto di produzione, che è la vera carta d’identità del prodotto, grazie alla quale si può risalire alla sua provenienza.
ETICHETTE INGANNEVOLI
L’articolo 2 del d.lgs 109/92 in applicazione della direttiva comunitaria, dice che le confezioni e le etichette dei prodotti non devono in alcun modo trarre in inganno il consumatore. Spesso però purtroppo questa regola non viene seguita: è il caso delle etichette ingannevoli. Una etichetta può risultare ingannevole o fuorviante nel caso in cui, ad esempio, inganni sulle caratteristiche reali del prodotto o gli attribuisca proprietà ed effetti che non possiede (ad esempio quando leggiamo “snellente” o “dimagrante”).
Un’altra cosa che può trarre in inganno il consumatore è quando si suggerisce che un prodotto possiede caratteristiche particolari che in realtà sono proprie di tutti i prodotti simili (come ad esempio il contenuto di calcio nel latte o nei formaggi) oppure se gli si attribuiscono proprietà curative che in realtà non possiede.
Un discorso a parte meritano invece le immagini ingannevoli sui packaging dei prodotti: alcuni esempi interessanti li potrete trovare sul sito tedesco www.pundo3000.com.
Altra cosa cui fare attenzione: le etichette nutrizionali (di cui parleremo tra qualche riga) devono essere sempre riferite a 100g o ml di prodotto e, solo facoltativamente, anche a porzioni inferiori. Perciò fate bene attenzione, quando leggete che un prodotto non contiene grassi o contiene pochi zuccheri, a quale quantità si sta facendo riferimento. In ogni caso, anche quando la dicitura è riportata correttamente, non facciamoci ingannare da scritte come “solo 30 kcalorie per 100 ml di prodotto“: se facciamo ben attenzione, infatti, a seconda del prodotto di cui si parla non sono poi così poche!
Un ulteriore modo per trarre in inganno i consumatori è la lista degli ingredienti: come vi abbiamo già spiegato gli ingredienti sono elencati in ordine della loro proporzione nel prodotto. Questo significa che i primi 3 ingredienti sono quelli che noi principalmente stiamo mangiando. Proprio per questo molte ditte distribuiscono gli zuccheri presenti tra molti ingredienti così che le quantità non compaiono nei primi tre dell’elenco. Così ci possiamo ad esempio trovare davanti ad una lista che contiene una combinazione di saccarosio, fruttosio, zucchero di canna, destrosio senza che nessuno di essi sia presente nelle prime posizioni dell’elenco; in realtà se poi andiamo a far bene i conti, probabilmente quel prodotto contiene più zuccheri di tanti altri!
Un paio di esempi per aiutarvi ad essere critici e non farvi ingannare:
- Se leggete a basso contenuto calorico il prodotto non può avere più di 40 kcal per 100 grammi, o più di 20 kcal per 100 millilitri.
- Se leggete a ridotto contenuto calorico il valore energetico del prodotto deve essere ridotto di almeno il 30% rispetto agli altri prodotti delle stessa categoria e si devono indicare le caratteristiche che hanno provocato questa riduzione.
- Se leggete senza zuccheri il prodotto non può avere più di 0,5 grammi di zucchero per 100 grammi o 100 millilitri.
- Se leggete senza zuccheri aggiunti tra gli ingredienti non dovete trovare né saccarosio, glucosio, lattosio, maltosio, fruttosio, destrosio, sciroppo di glucosio, né altri prodotti con proprietà dolcificanti (es. Miele).
LA TABELLA NUTRIZIONALE
L’etichetta nutrizionale è facoltativa, ma diventa obbligatoria quando la presentazione o la pubblicità del prodotto indicano particolari caratteristiche nutrizionali.
La tabella nutrizionale deve indicare il valore energetico e la quantità di proteine, carboidrati e grassi. A questi possono aggiungersi zuccheri, acidi grassi saturi, fibre alimentari e sodio. In alcuni casi si possono indicare le quantità di altri nutrienti, come le vitamine e alcuni sali minerali. L’importante è che la tabella sia chiara e non fuorviante, non crei sospetti sulle caratteristiche nutrizionali di altri alimenti, non incoraggi un uso smodato di quel prodotto, non affermi o sottintenda che le stesse sostanze non possano essere fornite da una dieta varia ed equilibrata.
PRODOTTI BIOLOGICI: come riconoscerli
Arriviamo ora ad un argomento a noi chiaro: i cibi biologici. Come essere sicuri che i prodotti che acquistiamo siano veramente biologici? Anche qui occorre prestare attenzione all’etichetta: il regolamento CEE 2092/91 ha definito, infatti, criteri ben precisi a cui i produttori e trasformatori di prodotti biologici debbono attenersi.
Fondamentale è dunque che in tutte le fasi di produzione vengano seguiti i criteri relativi al metodo biologico, criteri stabiliti dall’Unione Europea.
I prodotti bio non possono infatti contenere OGM né possono essere stati sottoposti a radiazioni (a volte usate a fini antigermogliativi su patate o cipolle).
A parte alcune eccezioni autorizzate dall’UE, è inoltre vietato anche l’uso di additivi. Il regolamento CEE 2092/91 definisce anche le norme tecniche di produzione, i prodotti utilizzabili per la difesa, la fertilizzazione, la preparazione e la conservazione dei prodotti, nonché i canoni per etichettare i prodotti da agricoltura biologica.
Esistono tre tipi differenti di etichette per contrassegnare i prodotti da agricoltura biologica, utilizzate secondo il quantitativo di ingredienti biologici contenuti nel prodotto, e il periodo di adesione dell’azienda produttrice al metodo biologico.
Prodotto da agricoltura biologica
Questa dicitura può essere utilizzata quando il prodotto è composto almeno per il 95% da ingredienti provenienti da agricoltura biologica che abbiano ottenuto la certificazione dell’Organismo di Controllo autorizzato. Il restante 5% degli ingredienti utilizzati di origine agricola o non agricola (es. additivi, aromi, acqua, sale, ecc.), sono compresi nell’elenco di prodotti autorizzati previsto dal regolamento CEE 2092/91, Allegato VI parte B. Come già detto, non devono essere stati impiegati nella produzione né OGM né radiazioni ionizzanti.
L’etichetta deve obbligatoriamente riportare i seguenti elementi:
- la denominazione di vendita (es. Marmellata, biscotti, caffè, ecc.) seguita dalla dicitura “da agricoltura biologica, regime di controllo CEE”;
- “controllato da” seguito dal nome dell’organismo di controllo (ce ne sono diversi, ad es. Icea, Bioagricert, ecc.);
- “Aut.D.M. MIRAAF….” dove sono indicati gli estremi dell’autorizzazione ministeriale;
- un codice alfanumerico dove sono riportati la sigla del Paese di produzione (IT per l’Italia), la sigla dell’organismo di controllo (es. AIAB), una lettera e un numero che identificano il produttore, la lettera “T” per i prodotti trasformati, o la “F” per i prodotti freschi e una lettera e un numero che identificano il prodotto e l’autorizzazione alla stampa dell’etichetta.
Facoltativamente può essere aggiunto il marchio unico europeo per l’agricoltura biologica.
Una curiosità: per quanto riguarda il vino, fino a pochi anni fa esisteva solo la dicitura “vino da uve da agricoltura biologica” e non “vino biologico”. Questo perché l’Europa ha introdotto solo nel 2012 disciplinari univoci sulla vinificazione biologica, quindi l’unica cosa che poteva essere certificata era la produzione bio delle uve utilizzate. Attualmente, invece, le aziende biologiche dell’Unione devono attenersi al regolamento europeo 848/2018 del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio UE. La produzione vitivinicola biologica è oggi disciplinata all’Art. 18 e alla parte VI dell’allegato II della normativa contenuta nel Reg. EU 848/2018:.
Prodotto con almeno il 70% degli ingredienti ottenuti da agricoltura biologica
Quando almeno il 70% degli ingredienti è di origine biologica, non è consentito usare la dicitura “da agricoltura biologica” nella denominazione di vendita, ma soltanto nell’elenco degli ingredienti, dove verranno evidenziati con un asterisco quelli ottenuti tramite agricoltura bio e certificati dall’organismo di controllo.
Una scritta accanto alla descrizione del prodotto, di dimensione e colore uguali alla lista degli ingredienti, indicherà la percentuale degli ingredienti biologici utilizzati (“x % degli ingredienti di origine agricola utilizzati è stato ottenuto conformemente alle norme della produzione biologica”).
Rimangono tutti i vincoli e gli obblighi dei prodotti della categoria precedente.
Prodotto in conversione all’agricoltura biologica
Le aziende “in conversione all’agricoltura biologica” sono quelle in attesa di ricevere la certificazione dall’organismo di controllo, ma che già rispettano i disciplinari di produzione biologica da almeno 12 mesi. Questa dicitura è utilizzabile solo per prodotti costituiti da un solo ingrediente di origine agricola raccolto dopo un periodo di conversione di almeno dodici mesi. Anche in questo caso gli ingredienti di origine non agricola dovranno essere tra quelli compresi nella lista positiva (parte A e B dell’allegato VI del Reg. CEE 2092/91).
PRODOTTI EQUOSOLIDALI: Quando il commercio fa bene a produttori e consumatori
Anche i prodotti del Commercio Equo e Solidale hanno il loro marchio di garanzia: è Fairtrade, gestito in Italia da Fairtrade Italia, un consorzio senza scopo di lucro nato nel 1994 per diffondere nella grande distribuzione i prodotti del mercato equo.
Fairtrade Italia fa parte di FLO (Fair Trade Labelling Organisations), il coordinamento internazionale dei marchi di garanzia, insieme ad altri 20 marchi che operano in tutte le parti del mondo.
Quando sugli scaffali troviamo prodotti con questo simbolo possiamo essere certi che siano stati lavorati senza causare sfruttamento e povertà nel Sud del mondo e che siano stati commercializzati seguendo le linee guida sviluppate da FLO e FLO-Cert (unità di certificazione con sede a Bonn) per l’importazione, la trasformazione e la commercializzazione.
In particolare il marchio Fairtrade garantisce che:
- i produttori del Sud del Mondo abbiano ricevuto un prezzo più alto di quello del mercato convenzionale così da coprire i costi di produzione;
- i produttori abbiano inoltre ricevuto un margine aggiuntivo (il Fairtrade premium) da destinare a progetti di sviluppo sociale e sanitario che coinvolgono l’intera comunità;
- i produttori lavorino nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità locale promuovendo processi a basso impatto ambientale.
Ed ora ecco qualche esempio di etichettatura alimentare e qualche curiosità.
Etichettatura UOVA
Iniziamo dalle uova: non fermatevi a ciò che trovate scritto sulla confezione esterna; le uova infatti ci dicono tutto di loro grazie a quel codice (che in pochi sanno tradurre) presente sul loro guscio! Vi sveliamo il mistero:
0 IT 045 TO 001
La prima cifra indica il tipo di allevamento:
- 0 corrisponde all’allevamento biologico,
- 1 a quello all’aperto,
- 2 a terra,
- 3 in batteria.
Lo 0 del biologico, in particolare, indica sia l’alimentazione della gallina che lo spazio che ha a disposizione per razzolare.
La seconda e la terza lettera rappresentano la sigla del paese di produzione (IT per l’Italia), mentre i 3 numeri successivi sono un codice che indica il Comune, seguito dalla sigla della Provincia. Le ultime 3 cifre sono il codice attribuito dalla ASL ad ogni singolo allevamento.
Sotto questo codice troviamo la data di scadenza o (ma è facoltativa) quella di deposizione: in ogni caso, basta sapere che le uova hanno una scadenza di 28 giorni, perciò si può comunque facilmente risalire anche alla data di deposizione.
Ultima cosa: la categoria che compare sulle confezioni indica la qualità delle uova: A (uova alimentari), B (uova di seconda scelta), C (uova per uso non alimentare, ma industriale).
Ora che sappiamo leggere queste indicazioni, possiamo scegliere non solo uova fresche e biologiche, ma anche uova prodotte il più possibile vicino a noi!
Etichetta passata di pomodoro
Veniamo ora alla Passata di pomodoro: dal 2004 questa denominazione può essere usata solo per il prodotto ottenuto dalla spremitura del pomodoro fresco. Prima del decreto legge 157/2004, invece, potevano essere anche utilizzati pomodori congelati. I Pelati invece godono da tempo di una maggior tutela e possono essere ricavati solo da pomodori freschi e maturi, senza l’aggiunta di concentrato di pomodoro (cosa che era possibile nella passata). I prodotti denominati “Polpa di pomodoro” possono invece essere ancora ricavati da materia prima congelata, nonostante spesso vengano erroneamente percepiti come prodotti di più alta qualità rispetto alla Passata. Per i prodotti derivati dai pomodori, la legge regolamenta inoltre sia l’aggiunta di sale (che non può superare il 10% del residuo secco), sia l’aggiunta di coloranti (assolutamente proibita). Se poi volete essere sicuri davvero di cosa state mangiando, allora provate con la nostra ricetta per fare in casa la salsa di pomodoro!
Etichetta delle carni
E cosa dire delle carni? Dopo tutti gli scandali alimentari legati a questo alimento, crediamo che conoscere la filiera produttiva della carne (e imparare ad individuarla dalla sua etichetta) sia un primo ottimo passo per garantire i nostri consumi (possibilmente moderati!).
Il Regolamento CE n.1760/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 luglio 2000 ha istituito l’obbligo di una specifica etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, consentendo così la tracciabilità e la trasparenza delle informazioni.
L’etichetta deve quindi contenere:
- un numero o un codice di riferimento che evidenzi il nesso e legame tra le carni e l’animale di origine; il numero può essere il codice di identificazione del singolo animale da cui provengono le carni o il numero di identificazione di un gruppo di animali;
- nome dello Stato membro o del paese terzo in cui è situato il macello. La dicitura è: “Macellato in + nome dello Stato + numero di approvazione”;
- nome dello Stato membro o del paese terzo in cui è situato il laboratorio: la dizione prevista è: “Sezionato in + nome dello Stato + numero di approvazione”;
- nome dello Stato membro o del paese terzo in cui è nato l’animale;
- nome dello Stato membro o del paese terzo (eventualmente più di uno) in cui è stato effettuato l’ingrasso (ossia la crescita e l’allevamento).
Nella vendita al dettaglio tutte le informazioni sugli animali e la provenienza della carne (oltre a quelle su taglio, prezzo, peso e scadenza) devono essere riportate o sulla vaschetta o su un cartello accanto al bancone.
Etichetta delle Acque Minerali
Parliamo infine delle etichette delle acque minerali: in commercio ne troviamo di tantissimi tipi e marchi ma, al di là del nostro gusto personale (liscia o gasata?), è utile imparare a leggere le informazioni sulla confezione in modo da poter scegliere l’acqua più adatta alle esigenze del nostro organismo (anche se noi continuiamo a consigliarvi l’acqua del rubinetto!). L’etichetta delle acque minerali è infatti una delle più complete: sono ben 48 i parametri che vengono sottoposti ad analisi periodiche. Qui di seguito riportiamo i principali:
- RESIDUO FISSO: è la stima del contenuto di sali minerali. Viene calcolato a 180° e indica la quantità di sali disciolti in un litro d’acqua. In base a questo fattore, le acque vengono divise in 4 categorie:
- minimamente mineralizzata (residuo fisso non superiore a 50mg/l): particolarmente indicata per chi soffre di ipertensione e per l’alimentazione dei neonati in quanto ha un basso contenuto di sali minerali e di sodio in particolar modo;
- oligominerale o leggermente mineralizzata (residuo fisso non superiore a 500mg/l): favorisce la diuresi, contiene poco sodio e può quindi essere indicata nei casi di ipertensione.
- mediominerale (residuo fisso tra i 500mg e i 1500 mg/l): utile in estate o mentre si pratica sport, perché aiuta a reintegrare i sali minerali persi.
- ricca di sali minerali (residuo fisso superiore a 1500mg/l): acqua terapeutica, ricca di sali, da bere sotto controllo medico. Ha un effetto diuretico inferiore, e può favorire la comparsa di calcoli renali;
- NITRATI: il contenuto di nitrati è un parametro molto importante da considerare, soprattutto per l’alimentazione di neonati e bambini.
Solitamente sono sostanze presenti in concentrazioni non pericolose, ma l’elevato utilizzo di fertilizzanti in agricoltura fa sì che questi componenti penetrino nel sottosuolo, andando ad intaccare le falde acquifere. Un’assunzione eccessiva di nitrati può rallentare il trasporto di ossigeno nel sangue e, se combinati con le proteine, possono dare origine alle nitrosamine, sostanze ritenute cancerogene. Esistono perciò delle limitazioni nel dosaggio di nitrati nelle acque minerali: 45mg/l nelle acque ordinarie e 10mg/l in quelle destinate all’infanzia. - DUREZZA: è il valore del calcare sciolto nell’acqua, espresso in gradi francesi; più il valore è alto, più l’acqua è calcarea.
Queste le informazioni che devono essere obbligatoriamente presenti sull’etichetta:
- la denominazione “Acqua minerale naturale” integrata, eventualmente, da diciture quali “aggiunta di anidride carbonica”, “totalmente degassata”, ecc.;
- il nome commerciale e il nome della sorgente;
- l’indicazione della composizione analitica, risultato delle analisi effettuate;
- la data e il luogo presso cui son state effettuate le analisi;
- il contenuto (es. 1L, 1,5l) seguito dalla lettera “e”, che sta ad indicare che la quantità è stata controllata secondo le norme europee;
- i titolari dei provvedimenti di riconoscimento e di autorizzazione alla utilizzazione;
- il termine minimo di conservazione;
- identificazione del lotto, tranne nel caso in cui nel termine minimo di conservazione figuri almeno il giorno e il mese;
Sono invece facoltative:
- la sigla PET, che indica il materiale con cui sono fatte le bottiglie di plastica dell’acqua;
- una frase o un disegno che invita a non disperdere il contenitore nell’ambiente dopo l’uso (non sarà ora che questa informazione diventi obbligatoria?!);
- indicazioni per la corretta conservazione.
ETICHETTE NON ALIMENTARI
Fermo restando che, per tutti i tipi di etichettatura, valgono le regole generali che tutelano il consumatore da informazioni scorrette, parziali o fuorvianti, ogni prodotto (o categoria di prodotto) ha ovviamente i suoi criteri di etichettatura e i suoi simboli. Proprio per non perderci in questo mare di indicazioni e disegni di cui spesso ignoriamo il significato, vi riportiamo di seguito alcuni esempi e cercheremo di darvi qualche dritta sulla lettura delle etichette che maggiormente ci capita di avere sotto mano fuori dalla cucina.
CREME SOLARI
Iniziamo con le creme solari anche se, ahimè, la bella stagione sembra proprio che ci stia salutando. Dal 2008, come già vi avevamo detto, è entrata in vigore una nuova raccomandazione europea per l’etichettatura di questo tipo di prodotto: la dicitura “schermo totale” o “protezione totale” non può più essere usata ed è stata sostituita dall’indicazione precisa del fattore di protezione (SPF – Sun protection factor). I prodotti con SPF inferiore a 6 non possono vantare capacità protettive: sono semplici lozioni abbronzanti. La protezione bassa è indicata con 6 e 10, quella media con 15, 20 e 25, quella alta con 30 e 50 e quella molto alta con 50+.
Le creme solari, inoltre, devono proteggere sia dagli UVA che dagli UVB, perciò sulla confezione devono comparire entrambe le sigle. Sul recipiente ci devono anche essere istruzioni relative all’applicazione delle creme e le precauzioni da prendere nell’esporsi al sole, come ad esempio indossare cappellini o magliette.
ABBIGLIAMENTO
E, a proposito di magliette, per quanto riguarda i capi d’abbigliamento l’etichetta deve riportare:
- il nome o il marchio del fabbricante o del distributore;
- la composizione del tessuto con la dichiarazione delle fibre;
- le istruzioni relative alle modalità di pulitura e stiratura.
Quando l’etichetta riporta la denominazione di una sola fibra significa che, nel prodotto, tale fibra raggiunge almeno l’85% del peso totale (leggeremo dunque “cotone 85%”). Nel caso invece in cui siano presenti più fibre nessuna delle quali raggiunge l’85%, l’etichetta di composizione indica le percentuali di almeno due fibre presenti; le altre seguono in ordine decrescente (ad esempio: “cotone 60%, fibra acrilica 20%, poliestere, lastex”). La dicitura “puro” o “100%…” è utilizzabile solo se il tessuto è fabbricato tutto con la stessa fibra.
Per la manutenzione del prodotto tessile l’etichetta deve indicare come lavare il capo, se e come stirarlo, la possibilità di candeggiarlo (i classici simboletti della bacinella, del ferro, ecc.). Quando il simbolo è sbarrato da una “X” significa che il trattamento specifico non è possibile.
CALZATURE
Nelle calzature l’etichetta (che deve essere presente su almeno una delle due scarpe) deve contenere informazioni sul materiale che compone almeno l’80% della superficie della tomaia, del rivestimento della tomaia e della suola interna. Se nessun materiale raggiunge tale percentuale, l’etichetta deve recare indicazioni sulle due componenti principali.
DETERSIVI
Ma veniamo ora ai detersivi, di cui comunque consigliamo sempre un uso misurato.
Dall’8 ottobre 2005, data in cui in Europa è entrato in vigore un nuovo Regolamento sui Detergenti (termine unico con cui si indica qualsiasi sostanza o preparato contenente saponi e/o tensioattivi, destinati ad attività di lavaggio e di pulizia), le etichette dei detergenti e i siti internet forniscono un elenco più completo degli ingredienti. Leggere con attenzione queste indicazioni ci aiuta ad usare nel modo corretto questi prodotti, evitarne lo spreco e scegliere quelli meno dannosi per noi e per l’ambiente.
L’etichetta dei detergenti deve infatti contenere: il nome commerciale del prodotto, il tipo (per piatti, per lavatrice…), la quantità, i dati del produttore o di chi commercializza il prodotto, la composizione, le istruzioni per l’uso ed eventuali rischi e indicazioni di sicurezza per i prodotti classificati come “pericolosi”. Per evitare pericoli di allergie, inoltre, tutte le fragranze allergizzanti riconosciute devono essere indicate in etichetta, se sono presenti nel prodotto in una concentrazione superiore allo 0,01%.
COSMETICI
E cosa dire dei prodotti che usiamo per la cura del nostro corpo, genericamente chiamati cosmetici? Anche in questo caso l’etichetta può tornarci utile. Essa deve infatti contenere, oltre al nome del produttore, al contenuto nominale e al lotto di fabbricazione, anche tutta una serie di indicazioni sugli ingredienti, le precazioni d’uso e la data di scadenza. Per quest’ultima in particolare è prevista una doppia modalità: se la durata minima del prodotto è inferiore a 30 mesi, deve essere evidenziata la data di scadenza preceduta dall’indicazione “da usare preferibilmente entro…”; se invece la data di scadenza del prodotto è superiore ai 30 mesi, deve essere riportata un’indicazione relativa al periodo di tempo in cui il prodotto, una volta aperto, può essere utilizzato senza effetti nocivi per il consumatore, con il simbolo rappresentante un barattolo di crema aperto (simbolo del PaO: Periodo Post-Apertura, dall’inglese Period after Opening).
Attenzione inoltre ad alcuni termini utilizzati nelle etichette dei cosmetici:
- NATURALE: non è sinonimo di innocuo! Molte essenze naturali sono infatti comunque irritanti e potrebbero causare allergie.
- TESTATO DERMATOLOGICAMENTE: significa che il prodotto è stato testato da dermatologi, ma la dicitura non è regolata da una legge e non vi sono perciò criteri precisi e univoci sulle modalità dei test.
- NON TESTATO SU ANIMALI: questa dicitura è consentita solo a condizione che il fabbricante e i suoi fornitori non abbiano effettuato o commissionato sperimentazioni animali del prodotto finito, del suo prototipo o di un suo ingrediente; non abbiano usato ingredienti sottoposti da terzi a sperimentazioni animali. La forma della dichiarazione o l’immagine/simbolo sono liberi e a discrezione del produttore.
ETICHETTA ENERGETICA
Dal 1 marzo del 2021 sono in vigore le nuove etichette energetiche europee per elettrodomestici e lampadine che hanno sostituito le passate classi energetiche in vigore dal 2010 a cui eravamo abituati.
L’introduzione di nuove etichette energetiche è stata dettata da una sempre maggiore diffusione di prodotti con ottime performance dal punto di vista del consumo energetico tanto da “superare” la scala di efficienza energetica pre-esistente e richiedendo il ricorso alle classi “estese” come per esempio “A+++ -40%”.
Per questo, l’Ue ha deciso di rivedere la vecchia classificazione rendendola più adatta ai prodotti ma soprattutto più facile da capire.
Un altro elemento di novità è l’introduzione della classe di emissione sonore (da A a D), che va ad aggiungersi al livello delle emissioni sonore espresso in dB, dove A indica un valore minore di 30 dB e D maggiore o uguale a 42 dB.
Dobbiamo innanzitutto sapere che le etichette non sono tutte uguali ma ogni elettrodomestico ha la sua quindi tutti i frigoriferi, per fare un esempio, presenteranno una classificazione comune, che indicherà specifiche caratteristiche, diverse da quelle delle lavatrici, e rese più chiare da specifici simboli.
Per approfondire:
Altri simboli da conoscere
Marcatura CE: presente sugli elettrodomestici, sui computer, sui giochi etc., la sigla CE (comunità europea) è apposta dal fabbricante del prodotto e ne attesta la conformità ai requisiti di sicurezza previsti dalla Direttiva Europea 93/68/CEE del 22 Luglio 1993. Con l’applicazione di questa marcatura, che è una sorta di autocertificazione di conformità del prodotto, il produttore ottiene il permesso di coprire l’intero mercato Europeo.
Ecolabel: creato dalla Commissione dell’Unione Europea nel 1992, è l’unico marchio ufficiale esistente in Europa per la qualità ecologica, ma non è obbligatorio. Indica che ciascuna fase del ciclo di vita del prodotto (produzione, imballaggio, distribuzione, utilizzo, smaltimento è caratterizzata da un ridotto impatto ambientale. Gli aspetti presi in esame sono l’inquinamento di aria e acqua, le materie prime impiegate, il consumo di energia e di altre risorse naturali, i residui di pesticidi e di metalli pesanti, gli effetti generali sull’ecosistema. Il marchio viene attribuito a prodotti che generano un inquinamento acquatico e atmosferico ridotto, hanno emissioni ridotte di gas a effetto serra e un basso consumo di elettricità.
Washright: marchio volontario utilizzato dai produttori di detergenti per bucato per dare ai consumatori alcune informazioni su come ridurre l’impatto sull’ambiente nel lavaggio degli indumenti.
Marchi FSC e Pefc questi marchi identifica prodotti contenenti legno o derivati (es. cellulosa) provenienti da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. La presenza di questi marchi su un prodotto garantisce che la foresta da cui proviene il materiale è stata controllata e valutata in maniera indipendente per la conformità ad alcuni criteri istituiti dalle singole certificazioni, in accordo con le parti interessate.
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