La valorizzazione dei prodotti alimentari di nicchia: il caso dello zafferano

La valorizzazione del made in Italy agroalimentare passa anche attraverso nicchie di mercato rappresentate da tutti quei prodotti caratterizzati da un' impatto mediatico minore rispetto ad altri che "aggrediscono" maggiormente il mercato (basti pensare al prosciutto di Parma o di San Daniele, all'aceto balsamico di Modena soltanto per citarne alcuni) e tra questi un ruolo sempre più importante è giocato da una spezia, lo zafferano.

La valorizzazione del made in Italy agroalimentare passa anche attraverso nicchie di mercato rappresentate da tutti quei prodotti caratterizzati da un’ impatto mediatico minore rispetto ad altri che “aggrediscono” maggiormente il mercato (basti pensare al prosciutto di Parma o di San Daniele, all’aceto balsamico di Modena soltanto per citarne alcuni) e tra questi un ruolo sempre più importante è giocato da una spezia, lo zafferano.

A livello mondiale è l’ Iran a farla da padrone con l’ 87% della produzione totale, seguita da India, Sri Lanka, e Grecia. Nel nostro paese il Crocus sativus (nome scientifico di quello che viene in maniera quasi poetica denominato “oro giallo“, pianta bulbosa appartenente alla famiglia delle iridiaceae) è concentrato in zone ben determinate, principalmente nel centro sud Italia (Cascia e città della Pieve in Umbria, zona del Montefeltro nelle Marche, San Gimignano in provincia di Siena, zona del fiorentino, piana di Navelli in provincia dell’ Aquila, ed in Sardegna) per una superficie totale di circa 55 ettari e che vede coinvolte 320 aziende (soprattutto micro) con una produzione annua di 320 kg.

Con l’intenzione di una sua reale valorizzazione è nato dal mese di ottobre il consorzio Zafferano Italiano presieduto dal Dott. Giovanni Piscolla che ha sede nel comune di Lastra a Signa (Firenze) e raggruppa la gran parte delle aziende che si dedicano a questa spezia (220) che dovranno attenersi al disciplinare di produzione, tutelando così un prodotto da commerciare esclusivamente in pistilli.

Oltre agli eventi di presentazione del consorzio che hanno avuto luogo nei mesi scorsi nella cittadina toscana e mostre mercato ad esso dedicate ( Città della Pieve con le giornate di valorizzazione tenutesi in ottobre e mostra mercato dello zafferano purissimo di Cascia ai primi di novembre), il 6 dicembre si è tenuto presso la camera di commercio di Perugia un convegno dal titolo “La tutela e la qualificazione dello zafferano, obbiettivo comune delle aree del Mediterraneo dei pese emergenti” indirizzato su tre filoni: strategie di marketing che possano valorizzarlo, tipicizzazione anche da un punto di vista chimico per prevenire possibili frodi ed inquinamento del mercato, e non da ultimo esperienze scientifiche di esperti spagnoli e mercati emergenti quale quello argentino.

Le motivazioni che hanno portato a puntare sulla valorizzazione di un prodotto di nicchia come lo zafferano, nel quale l’Italia è a sua volta una nicchia, sono sia di natura prettamente “statistisca” basti pensare che non è rilevato a livello nazionale nel censimento dell’agricoltura rendendo difficile conoscere la composizione delle aziende, di controllo delle frodi per diversificarlo dal punto di vista qualitativo rispetto allo zafferano estero.

Lo studio del comparto dello zafferano ha messo in luce tramite indagini di marketing di cui si è occupato il Prof. Andrea Marchini del dipartimento di scienze economico estimative e degli alimenti della facoltà di agraria dell’ Università degli Studi di Perugia, la difficoltà a reperire dati certi, motivo per il quale si è proceduti ad interviste ai consorzi maggiormente strutturati a livello nazionale ( Sardegna, Aquila, zafferano purissimo dell’ Umbria, il Croco di Pietro il Perugino) i quali hanno anche richiesto il riconoscimento della DOP riuscendo ad ottenerla come nel caso del capoluogo abruzzese e della Sardegna.

La diversificazione qualitativa è dovuta principalmente alle norme ISO che classificano il prodotto italiano di categoria 1 alla stregua di quello di molti altri paesi produttori e che sostanzialmente non ne valorizza le peculiarità agricolo – ambientali- territoriali rendendolo in tutto e per tutto simile ad altre spezie meno nobili o a prodotti di paesi esteri.

Da notare che per quel che concerne i dati di import/ export, l’Italia si caratterizza come un forte importatore dall’estero (18 tonnellate circa, dei quali circa 10 in fili e il resto in polvere) ma anche un buon esportatore con 16 tonnellate (principalmente in polvere) in Francia Germania, USA, Brasile per il prodotto in fili, Germania e Regno Unito in polvere, sostanzialmente il prodotto si importa, si confeziona e si riesporta.

Il convegno tenutosi a Perugia è stato anche occasione per parlare della diversificazione dello zafferano a livello chimico tematica legata a doppio filo al contrasto delle frodi, per evitare che vengano immesse nel mercato quantità della spezia che all’ analisi non risultano essere zafferano o semplicemente lo sono ma di scarsa qualità.

La composizione chimica già di per se differenzia lo zafferano per la presenza delle crocine che attribuiscono il colore giallo, pircocrocina e safranale che conferiscono caratteristiche organolettiche di sapore ed odore, da prodotti quali cherry, curcuma, ecc, spesso spacciati per zafferano

L’intento dell’analisi chimica della quale ha parlato la Prof.ssa Romani della facoltà di farmacia dell’Università di Firenze,in previsione anti frodi ha interessato da una parte lo studio di 11 campioni commerciali di zafferano provenienti da diverse zone per la caratterizzazione chimica e il controllo dell’uso di coloranti, nonché le potenzialità di tepali e stami per la produzione di estratti che possano aprire mercati quali quelli degli aromi o dei cosmetici.

Lo sviluppo dello zafferano passa anche per mercati esteri come quello argentino sul quale ha relazionato la Dott.ssa Luciana Poggi ingegnere agronomo dell’ università di Mendoza.

Il mercato argentino attualmente minoritario (5 kg di prodotto annuo) ma con ampi margini di crescita, si caratterizza per le elevate importazioni (2000 kg), il prodotto viene comprato ad un prezzo di 2000 dollari al kg soprattutto da Iran e Spagna, nel paese sud americano è particolarmente utilizzato nell’ industria di liquori (fernet) e solo il 5 % è consumato come spezia, due sono le zone di produzione : Mendoza e san Juan nelle quali la coltivazione è legata agli immigrati spagnoli e italiani che hanno portato li i bulbi.

zafferano italiano

La qualificazione dello zafferano è un elemento dibattuto non solo in Italia ma anche in Spagna, come hanno avuto modo di spiegare i Dott. Manuel Carmona e Gonzalo Alonso della cattedra di chimica agraria dell’ Università di Castiglia la Mancha i quali hanno esposto una tecnica innovativa per valutare il prodotto da un punto di vista qualitativo e distinguerlo dalle imitiazioni,, l’analisi sensoriale (simile a ciò che accade per gli oli extravergine di oliva), utilizzata anche tra le procedure per l’ottenimento denominazione di origine dello zafferano della Mancha.

I procedimenti di analisi prevedono l’utilizzo di una scheda di degustazione divisa in tre parti : aspetto, che costituisce il 35 % del punteggio totale, esame olfattivo – gustativo, fino al 50% del totale, struttura (aspetti legati a sensazioni tattili) 15% del totale.

In seguito a tale analisi l’estratto acquoso di zafferano viene classificato in una famiglia di odori che possono essere di : erba secca, fresca, o fermentata, verdure cotte, legno (humus, torba); fruttato, floreale, animale (brodo di carne, cuoio, fieno, ecc); speziato (chiodi di garofano, noce moscata, pepe), tostato (affumicato, bruciato, caffè, caramello, vaniglia) e altri sapori (incenso, ammuffito, bagnato, umido, marcio, putrido, pesticidi, insetti, resina, ecc)

Ultima fase è l’attribuzione del punteggio da 0 a 100 e per far parte della denominazione di origine della Mancha i campioni devono aver raggiunto un punteggio superiore a 71.

Infine da sottolineare quale elemento fondamentale nel panorama del prodotto zafferano è il legame con il territorio, come dimostrano oltre al già citato consorzio Zafferano italiano che avrà il compito di fare da collante tra consorzi, associazioni ecc sparsi nel centro sud della penisola (consorzio dello zafferano del ducato di Spoleto, consorzio di promozione dello zafferano di San Gimignano, comitato dei produttori delle colline fiorentine, cooperativa crocus Maremma Città della Pieve, Cascia, consorzio di tutela dello zafferano DOP Sardegna). Tali forme associative rendono merito a piccole realtà territoriali che hanno puntato molto sul comparto della valorizzazione dei prodotti tipici dell’agrolimentare italiano e che non possono che essere visti in maniera positiva non soltanto per quel che concerne lo zafferano ma tutte le eccellenze agroalimentari del nostro paese, ed inoltre permettono di mantenere vivo il rapporto con l’agricoltura ed il territorio rurale che deve tornare ad essere uno dei punti di forza dell’ economia nazionale.

Domenico Aloia

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