FAB LAB: come produrre in maniera industriale a KM zero

Non è né una fabbrica né una bottega artigiana, anche se ha parentela con entrambe le realtà. Della fabbrica ha le macchine: autonome e in grado di produrre in serie. Della bottega, la possibilità di limitare e personalizzare la produzione stessa. Da qualche mese anche in Italia esiste un Fab Lab. E’ collocato all’interno della mostra Stazione Futuro. Qui si rifà l’Italia, l’esposizione che mette insieme le centocinquanta idee che cambieranno la vita degli Italiani nel corso dei prossimi dieci anni. E non c’è dubbio che il Fab Lab sia una di queste.

Il primo corso proposto da Neil Gershenfeld nel 2006 al MIT di Boston si intitolava come fare quasi qualsiasi cosa e prevedeva di insegnare a quei pochi ricercatori che si sarebbero fatti avanti l’utilizzo di una serie di macchine per la costruzione digitalizzata. Si presentarono in centinaia. “Il bello era che non erano lì per fare ricerca. Venivano per costruire delle cose. Non avevano competenze tecniche particolari, ma sarebbe bastato un semestre per svilupparle”, ricorda Neil Gershenfeld, raccontando le origini del Fab Lab.

Una macchina a taglio laser, una stampante 3D, una fresa a controllo numerico, una macchina per la prototipazione rapida, una bilancia di precisione, pinze, cacciaviti, forbici, taglierini e qualche altro utensile. Anche solo questi pochi strumenti possono costituire un Fab Lab, abbreviazione di Fabrication Laboratory.

Meno di trent’anni fa l’acquisto di macchinari del genere avrebbe fatto sborsare circa 2 milioni di dollari, oggi ce la si può cavare con circa 20 mila dollari (poco più di 15 mila euro). Con questa cifra, chiunque abbia da parte qualche risparmio, può pensare di mettere in piedi un processo di produzione e manutenzione tramite il quale costruire o aggiustare “quasi” tutto.

Da quell’intuizione nel 2006, i Fab Lab hanno iniziato a proliferare in molti Paesi del mondo. Non solo tra i soliti noti: Francia, Germania, Olanda, Svezia, Spagna. Ma anche in realtà marginali, rispetto ai centri economici e produttivi internazionali, come Costa Rica, Colombia, Ghana, Sudafrica. Il motivo è semplice: l’accesso a tecnologie per la produzione rappresenta la vera chiave di volta in questi Paesi. Per riuscire a esprimere il potenziale creativo e imprenditoriale di queste società non è sufficiente insegnare loro i modi, è necessario anche fornire gli strumenti. Dove, fino a oggi si veniva schiacciati dalle barriere economiche associate all’acquisto di strumenti e utensili, oggi si può sperare che un mondo di opportunità si apra.

Da qualche mese anche in Italia esiste un Fab Lab. È collocato all’interno della mostra Stazione Futuro. Qui si rifà l’Italia, l’esposizione che mette insieme le centocinquanta idee che cambieranno la vita degli Italiani nel corso dei prossimi dieci anni. E non c’è dubbio che il Fab Lab sia una di queste.

Riciclo_Elettronico

Non è né una fabbrica né una bottega artigiana, anche se ha parentela con entrambe le realtà. Della fabbrica ha le macchine: autonome e in grado di produrre in serie. Della bottega, la possibilità di limitare e personalizzare la produzione stessa. All’interno della mostra si presenta come una specie di garage – laboratorio. In 5x5m ci sta tutto quello che è necessario. Qui i computer portatili condividono lo spazio con le assi di legno, i mouse con la polvere di gesso e i circuiti elettronici con pezzi di cartone recuperati dalla strada.

In un normale mercoledi pomeriggio, i primi adepti si mischiano ai visitatori della mostra. E allora capita di appostarsi all’interno del Fab Lab e trovarsi di fronte Giovanni, uno studente universitario. Sta fisso con gli occhi puntati sulla cappotta trasparente che protegge dalla fresatrice, in attesa che la macchina finisca di intarsiare una scritta su un pezzo di legno, che serve da targhetta da appendere alla vetrina del negozio del padre.

Paolo invece sta finendo di completare il file 3D di un paio di orecchini per la fidanzata. Appena disegnati gli ultimi dettagli, andrà a collegare il computer alla macchina per la prototipazione rapida e dopo mezz’ora avrà il suo regalo pronto per la consegna.

Marianna è una web designer invece e impazzisce per i circuiti elettronici. Sta smontando una vecchia stampante rotta per tirarne fuori il motorino e riutilizzarne i pezzi.

Un Fab Lab è un luogo in cui chiunque può fare. È vero. Qualcuno potrebbe obiettare che ci vuole molto meno ad andare in un negozio e comprare ciò che serve. Ma avere la possibilità di costruire ciò che si vuole e come lo si vuole, direbbe qualcun altro: “non ha prezzo”.

Effettivamente il prezzo è ciò che fa la differenza, qui. E non vale solamente per i costi iniziali. A questi, in genere, si aggiungono quelli di trasporto dalla fabbrica al luogo di distribuzione e dal luogo di distribuzione a casa propria. Per non parlare dei costi dell’assemblaggio. Ora immaginate che tutto ciò avvenga nel garage di casa vostra.

Il messaggio che arriva dal Fab Lab è che ci sono 5 miliardi di persone sul pianeta che non sono solo ricettori di tecnologia; sono sorgenti”. Gershenfeld è oggi promotore di una realtà che raccoglie non più solo proseliti, ma gente normale che decide di dotarsi di una minima competenza manuale e tecnologica per immaginare una realtà in cui la produzione non sia in mano a pochi, ma gestita e condivisa da molti.

Il primo pensiero è che dietro questo movimento ci siano seguaci di Bill Gates, con spessi occhiali e t-shirt con scritte improbabili, affiliati alla sempre più numerosa categoria dei nerd. Al contrario, “c’è una comunità sempre più ampia mossa dalla sincera volontà di testimoniare che sta facendo qualcosa per il proprio futuro” dice Enrico Bassi, responsabile del primo Fab Lab italiano all’interno della mostra Stazione Futuro.

Corso_Arduino

Il principio di fondo che tiene insieme questa gente è la condivisione. L’open source si è lentamente spostato dal mondo del software a quello dell’hardware. In questo modo, il progetto di un attaccapanni messo on line da uno studente di New York può essere prodotto da un ragazzo a Seoul. Tutto questo, senza che ciò comporti spese per la comunità”.

Thingsgiverse.com è uno dei siti nei quali chiunque può rilasciare il proprio progetto a uso e consumo di chi ne vorrà usufruire. È collegato ai produttori della Makerbot, un marchingegno inventato da un paio di studenti americani che consente di prototipare “quasi” qualunque cosa, grazie a un sistema di fusione della plastica e di costruzione stratificata. Beppe Grillo, nei suoi spettacoli, se ne porta dietro sempre una, programmata per fare, nel corso delle due ore di show, un fischietto. Un simbolico segnale di richiamo, a cui il nostro Paese sta lentamente reagendo.

Se, infatti, gli Stati Uniti hanno già decretato quella in corso l’epoca della Industry 2.0, l’Italia guarda ancora con il binocolo certi traguardi.

Eppure c’è un mondo di scalpitanti giovani studenti, professionisti e simpatizzanti che non aspetta altro che qualcuno apra loro le porte. A Torino, per esempio, il Fab Lab Italia sta attivando importanti collaborazioni con il Politecnico e con il Centro Conservazione e Restauro della Reggia di Venaria Real. I corsi di alfabetizzazione all’uso dei macchinari sono sempre “sold out” e anche i visitatori più scettici non riescono a fare a meno di fermarsi a vedere la chincaglieria tecnologica che si nasconde in quel piccolo laboratorio dentro il quale si cela il nostro futuro prossimo.

Siamo ai confini di una nuova èra in cui al posto dell’ago e filo oppure del cacciavite e di un martello impareremo a utilizzare un circuito elettronico o a fabbricare i pezzi di ricambio del frullatore rotto.

È tecnologia applicata al mercato del singolo. È la programmazione computerizzata che genera atomi e non solo più bit.

Pamela Pelatelli

 

 

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