Esiste però una pratica che, non solo risulta crudele ed insensata, ma risulta anche essere terribilmente insostenibile per intere specie perché dettata dalla cupidigia e da una cultura basata sulla voglia di esibire uno status symbol: stiamo parlando del consumo di zuppa a base di pinne di squalo.
Sono ormai anni che in Europa ci indigniamo di fronte alle culture alimentari orientali che prevedono l’uso di cani, gatti, balene e squali tanto da aver imposto il divieto di pratica ed importazione sui nostri territori (un esempio è il divieto di finning nei mari europei nel novembre 2012)
Certo è che tutto questo è, sì, crudele ed insensato, ma forse non meno di macellare mucche, capre, agnelli, vitelli, polli e maiali, anche se questo generalmente evitiamo di pensarlo.
Esiste però una pratica che, non solo risulta crudele ed insensata, ma risulta anche essere terribilmente insostenibile per intere specie perché dettata dalla cupidigia e da una cultura basata sulla voglia di esibire uno status symbol: stiamo parlando del consumo di zuppa a base di pinne di squalo.
In oriente infatti, anche se la pesca risulta mettere a rischio la sopravvivenza di alcune specie di squalo tanto da aver ridotto intere popolazioni – in molti parti del pianeta fino al 90% e minacciare fino a 180 specie nei soli ultimi 10 anni – tale pratica non si arresta.
In Cina, maggiore consumatore di pinne di squalo, il suo consumo non solo è apprezzato, ma è visto anche come un forte simbolo di ricchezza e potere.
Fino a pochi anni fa le pinne, tagliate a vivo dai pescecani pescati e che subito dopo vengono rigettati in acqua dove moriranno con enormi agonie, venivano poste al sole ad essiccare sui marciapiedi delle strade di Hong Kong ma nel 2010, a causa delle numerose proteste animaliste, i pescatori sono stati corretti a porle su tetti delle case e dei palazzi come hanno dimostrato le foto di Gary Stokes, Paul Hilton e Alex Hofford pubblicate sul New York Times e anche sul numero di questa settimana dell’Internazionale. Immagini che stanno facendo il giro del mondo.
Qualcosa, infatti, pare stia cambiando e gli sforzi degli animalisti sembra stiano dando effetti: si sta infatti insinuando nell’opinione pubblica il desiderio di salvaguardia di questi animali fino al punto che molti sono gli alberghi ed i ristoranti che non annoverano più questo piatto nel proprio menù, molte le catene che non vendono pinne di pescecane ed il governo cinese ha annunciato l’intenzione di non offrire più il piatto in occasione di banchetti ufficiali.
Molti sono poi i paesi che hanno definitivamente abolito il “finning” come il Costa Rica che ha vietato alla fine del 2012 l’importazione di pinne di squalo.
Sono però ancora molti, invece, quelli che ne fanno largo consumo, tanto che ad Hong Kong, considerato l’hotspot di tale pratica, secondo il WWF ogni anno vengono uccisi 73 milioni di squali dai quali verranno asportate le pinne per farne zuppe.
Non rimane che sperare in un forte cambiamento prima che sia irrimediabilmente troppo tardi per ogni squalo sul pianeta come già avvenuto in passato per il rinoceronte bianco, per l’ elefante africano o per il gorilla di montagna.
QUI la petizione da firmare su TakePart
Kia – Carmela Giambrone
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