Una nuova inchiesta della LAV svela le condizioni spaventose in cui versano gli allevamenti italiani di galline dove dilaga l'aviaria
L’indagine shock in due allevamenti di Brescia e Mantova mostra cosa accade negli allevamenti di galline in cui è scoppiata l’aviaria
Carcasse di galline a contatto con animali vivi, con uova e mangimi, gabbie arrugginite e affollatissime, infestazioni di acari. Questo è lo scenario agghiacciante davanti al quale si sono trovati lo scorso ottobre gli attivisti della LAV (Lega Anti Vivisezione), che hanno condotto un’investigazione – insieme ai reporter internazionali Aitor Garmendia e Linas Korta – negli allevamenti di galline ovaiole del Nord Italia.
Poco dopo in queste stesse strutture sono scoppiati diversi focolai di influenza aviaria, virus che ormai si è esteso a macchia d’olio negli allevamenti italiani (sono ormai decine i focolai registrati in Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio e migliaia gli animali abbattuti per contenere la diffusione del virus).
E in entrambe le strutture oggetto nell’indagine erano stati registrati dei casi di aviaria anche nel 2017. Che la storia si sia ripetuta non stupisce affatto la LAV, considerata le terribili condizioni in cui versano gli allevamenti in questione…
L’indagine shock in due allevamenti di Brescia e Mantova
Ciò che viene mostrato nei filmati è sconcertante: in un allevamento nel Mantovano, che contiene circa 700mila animali, si vedono carcasse di animali a contatto con altri animali vivi e radunati in gruppo in zone accessibili ad altri animali; mentre in un’altra struttura della provincia di Brescia, che ospita 200mila esemplari, gli animali morti addirittura da giorni o settimane sono stati trovati anche a contatto con le uova e con il cibo somministrato agli animali.
Inoltre, altre carcasse sono state rinvenute nella zona di stoccaggio all’interno di sacchi di carta. Ma non finisce qui. In entrambe le strutture si è riscontrata la presenza di una grave infestazione da acari rossi, rinvenuti sugli animali vivi, su quelli morti e sulle uova. Le uova vengono tenute a contatto con le deiezioni in entrambe le strutture e, inoltre, il sistema di pulizia appare non adeguato a mantenere l’ambiente pulito. E le galline malate vengono lasciate sofferenti e senza cure, a contatto con le altre.
Molte di loro presentano i sintomi avanzati della ritenzione dell’uovo, causa di morte in tempi rapidissimi se non trattata, come mostrano diversi animali morti proprio all’interno degli allevamenti. In una delle due strutture, sono state filmate galline galline con gravi deformazioni alle zampe e stipate in piccole gabbie arrugginite, in condizioni di sovraffollamento e, in alcuni casi, in numero superiore al limite di legge.
Anche nella struttura adibita ad allevamento a terra multilivello, gli investigatori hanno riscontrato interi pezzi di pavimentazione posizionata in modo scorretto ed arrugginita, con grave rischio di causare ferite e lesioni agli animali.
Come sottolineato anche dalla stessa LAV, il ripetersi dell’epidemia dell’aviaria in queste zone non deve affatto meravigliare. Infatti, le condizioni di sovraffollamento e l’altissima densità delle galline all’interno dei capannoni rappresentano il terreno ideale per il contagio e la diffusione dell’infezione tra gli animali. A rendere ancora più vulnerabili le galline sono i livelli di stress a cui sono sottoposte, che porta ad un abbassamento delle difese immunitarie.
Gli animali negli allevamenti, infatti, sono oggetto e vittime di una esasperata selezione genetica che di fatto li rende dei veri e propri cloni – spiega la LAV – Questo favorisce ricombinazione dei virus, come quello dell’aviaria proveniente dagli animali selvatici che, a loro volta, ne sono minacciati non essendo in grado di difendersi dalle mutazioni.
Tale situazione non dovrebbe farci dormire sonni tranquilli. Come tante altre malattie zoonotiche, l’aviaria può contagiare anche l’uomo, (come successe nel 1997 a Hong Kong). Negli ultimi tempi il virus si è diffuso id nuovo, portando all‘abbattimento di milioni di animali tra Asia, Europa ed Africa, e proprio il virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità è quello che sta circolando da mesi negli allevamenti di tutta Europa, e che ha già fatto registrare l’uccisione di 8 milioni di animali nel solo Nord Italia. Ancora alle prese con le restrizioni per arginare la pandemia da Sars-Cov-2, stiamo assistendo ad un massacro di animali annunciato.
Il costo di un’epidemia come quella attualmente in corso è ben maggiore della mera perdita economica del singolo allevatore, o del comparto. Le conseguenze sulla collettività sono gravi: sia in termini di risorse pubbliche spese a sostegno di un sistema di produzione di cibo malato, crudele ed insostenibile, sia per l’esposizione ad un rischio sanitario elevato ed evitabile – sottolinea Lorenza Bianchi, responsabile LAV Animali negli Allevamenti – Questa ennesima epidemia di aviaria mostra che è necessario ripensare il nostro modo di produrre e consumare cibo, lasciando lo sfruttamento degli animali fuori dal nostro piatto.
Proprio di recente è uscita una circolare del Ministero della Salute in cui si legge che “allo stato attuale il rischio di trasmissione del virus aviario all’uomo è considerato basso ma in considerazione del potenziale evolutivo del virus, si ritiene necessario monitorare la situazione al fine di identificare eventuali cambiamenti.”
Sono numerosi gli studi che mettono in guardia sulle conseguenze nefaste che il contagio all’uomo potrebbe avere, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ribadito che si tratta di un virus altamente patogeno, che ha già registrato in passato, oltre a contagi da animale a uomo, anche trasmissione da uomo a uomo. Inoltre, il virus potrebbe essere soggetto a mutanti per aumentare la trasmissibilità.
L’aviaria dilaga, ma i cacciatori sono a piede libero
Mentre cresce in maniera preoccupante il numero dei focolai di aviaria in Italia, i cacciatori di avifauna possono continuare ad uccidere animali senza alcuna restrizione. Infatti, non rientrano nella cosiddetta “popolazione esposta al rischio”, sottoposta a sorveglianza sanitaria, nonostante entrino spesso in contatto proprio con quegli animali selvatici che rappresentano i principali vettori del virus e con le zone da questi frequentate.
Soltanto nel caso in cui l’animale ucciso durante una battuta di caccia non è “apparentemente in buona salute” (secondo la valutazione dello stesso cacciatore) scattano le misure di sorveglianza previste dai protocolli. E così migliaia di cacciatori diventano dei potenziali focolai dai quali potrebbe essere innescata una nuova pandemia di influenza aviaria. Una situazione davvero paradossale e pericolosissima anche per l’uomo.
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Fonte: LAV
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