In Italia, la maggior parte delle vacche sono allevate nelle stalle e il pascolo non lo vedono mai, neanche in cartolina. Ciò chiaramente ha grandi ripercussioni sul loro benessere e sulla loro alimentazione, ma non solo gli allevatori virtuosi sono penalizzati dal fatto che non vi sia alcuna etichetta in tal senso.
Vacche al pascolo o sempre nella stalla? Ancora oggi i consumatori non hanno accesso a queste informazioni perché al contrario di quanto succede per le galline, nell’etichetta non è specificato il metodo di allevamento dei bovini.
In Italia, la maggior parte delle vacche sono allevate nelle stalle e il pascolo non lo vedono mai, neanche in cartolina. Ciò chiaramente ha grandi ripercussioni sul loro benessere e sulla loro alimentazione, ma non solo gli allevatori virtuosi sono penalizzati dal fatto che non vi sia alcuna etichetta in tal senso.
Un’etichetta che andrebbe riformulata al più presto e in cui venga specificato il metodo di allevamento per i prodotti lattiero-caseari.
“Sembra che l”Italia sia una terra senza animali che non hanno accesso al pascolo e trascorrono tutta la loro vita in capannoni chiusi. Questo vale anche per le eccellenze del Made in Italy e persino per una parte dei prodotti certificati bio” dice Philip Lymbery, ceo di CIWF, nel capitolo dedicato all’Italia del suo ultimo libro, Dead Zone.
Parole confermate anche da Paolo Carnemolla, presidente di Federbio:
“Anche le vacche allevate per produrre le eccellenze italiane come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano vivono esclusivamente nelle stalle e purtroppo, persino quelle allevate in sistemi biologici non hanno sempre l’accesso al pascolo garantito”.
Secondo CIWF, la Pianura Padana è l’area a maggiore vocazione per l’allevamento intensivo, con una densità di animali che è ai primi posti nel mondo e questo ha avuto impatti molto negativi sull’ambiente. L’azoto proveniente dalla deiezioni finisce nelle acque del Po e provoca fenomeni di fioriture algali e di mancanza di ossigeno nell’acqua, fino al delta del fiume.
Ma non solo, parliamo ancora di agricoltura intensiva e di pesticidi. Nel nostro Paese, il 50% dei cereali coltivati è destinato agli animali e proviene da monocolture che fanno largo uso di pesticidi. Coltivazioni che non sarebbero intensive se le vacche fossero lasciate libere al pascolo.
La petizione
Secondo CIWF i consumatori hanno il diritto di poter conoscere il metodo di allevamento dei diversi prodotti di origine animale. In questo senso, come dicevamo, per i prodotti lattiero caseari, in Italia, non esiste nessun tipo di etichettatura, né obbligatoria, né volontaria.
Vi abbiamo raccontato qui gli orrori degli allevamenti intensivi:
Per questo si chiede al Ministro dell’Agricoltura che sia resa disponibile al più presto un’etichettatura.
“È ora che anche in Italia sia data ai consumatori la possibilità di riconoscere alle vacche la possibilità effettiva di pascolare, un’attività fondamentale per la loro natura di erbivori ruminanti, senza la quale non si può parlare di benessere animale, né di sostenibilità”, dichiara Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia Onlus
Dominella Trunfio
Foto: CIWF ITALIA